Il 15 marzo 1848 un giovane poeta ungherese saliva sulla scalinata del Museo Nazionale di Budapest, da cui rivolgeva ai suoi compatrioti un accorato e commosso appello per spingerli alla sollevazione contro il dominio di Vienna. Quel giovane patriota, che sarebbe morto in battaglia di lì a poco, si chiamava Sándor Petőfi e il suo proclama è considerato la scintilla che diede inizio alla rivoluzione indipendentista magiara del 1848.

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Sándor Petőfi

Ma per meglio inquadrare i fatti ungheresi di metà Ottocento, facciamo un piccolo passo indietro.

L’Ungheria asburgica

Fra le grandi potenze europee del Medio Evo, il regno d’Ungheria finì per soccombere nel XVI° secolo di fronte all’inarrestabile avanzata ottomana in Europa. L’occupazione ottomana di gran parte delle territorio dell’antico regno magiaro di Santo Stefano durò circa un secolo e mezzo e  il Paese fu infine liberato dalla potenza austriaca degli Asburgo, che inglobarono le nuove terre conquistate all’interno del loro impero. Nel frattempo però il popolo ungherese aveva sviluppato una forte coscienza nazionale che nel tempo divenne sempre più insofferente al dominio e all’egemonia tedesca di Vienna.

I fatti del 1848

Si arriva così al proclama di Petőfi e all’avvio della rivolta indipendentista guidata dall’eroe nazionale Lajos Kossuth, considerato uno dei padri nobili della patria ungherese. La lotta si rivelò ben presto impari e dopo alcune vittorie inziali, già nell’estate dell’anno successivo l’esercito indipendentista ungherese si vide costretto a capitolare  di fronte alle preponderanti forze austro-russe: l’Impero zarista, alleato di Vienna nel patto fra sovrani della Santa Alleanza, era infatti intervenuto in soccorso della corona asburgica, segnando la fine dei sogni indipendentisti magiari.

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Lajos Kossuth

Quasi 20 anni dopo gli ungheresi riuscivano ad ottenere da Vienna, attraverso il Compromesso del 1867, un’ampia autonomia e il condominio imperiale nella nuova compagine austro-ungarica, ma dovranno aspettare il Novecento e la fine del primo conflitto mondiale per vedere il ritorno del loro Paese alla piena indipendenza e sovranità.

La fratellanza italo-ungherese

La comune lotta dei patrioti italiani e ungheresi contro il nemico asburgico cementificò l’amicizia e la fratellanza fra i due popoli nel periodo risorgimentale: una Legione di volontari italiani al comando di Alessandro Monti partecipò alla rivoluzione ungherese del ’48 e in seguito non pochi furono gli ungheresi – fra cui Lajos Tüköry e István Türr – arruolati fra le fila garibaldine impegnate nella spedizione dei Mille del 1860. Una profonda amicizia fraterna legava inoltre i due eroi nazionali Garibaldi e Kossuth, il quale scelse Torino come ultima destinazione del suo esilio finale.

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Curiosità

Fare un quarantotto: la rivoluzione ungherese si inserisce nel quadro di quel fenomeno conosciuto storicamente come la Primavera dei popoli: una serie di moti rivoluzionari che sconvolsero il sistema europeo uscito dalla Restaurazione nel corso del bienno 1848-49, data fondamentale nella storia europea,  da cui l’espressione “fare un quarantotto”, ancora oggi utilizzata come sinonimo di subbuglio, sconvolgimento, baccano.

Brindare con la birra: difficilmente vi capiterà di vedere due ungheresi brindare con i boccali di birra. Il motivo è semplice: dopo il fallimento della rivolta indipendentista del ’48-49, gli austriaci impiccarono ad Arad circa 400 fra ufficiali e politici magiari e la leggenda racconta che fossero soliti concedersi grandi brindisi di birra fra un’esecuzione e l’altra dei patioti ungheresi.

La figura di Garibaldi, popolare in tutto il mondo, è particolarmente amata in Ungheria: in diverse città magiare esistono vie dedicate al patriota italiano, come Garibaldi út a Budapest, a due passi dal Parlamento, e il  giardino che circonda il Museo Nazionale ospita un busto dell’eroe dei due mondi. Infine non mancano nel repertorio musicale magiaro canzoni patriottiche sui fatti del ’48 dedicate al generale italiano, come Garibaldi csárdás kis kalapja del compositore Kodály Zoltán, in cui si invoca l’aiuto di Garibaldi per i patrioti ungheresi e di cui vi proponiamo un estratto.

 



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