Articolo di Giulia Pracucci per eastjournal.net

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La leggenda narra che l’esercito ottomano già nella prima metà del XVI secolo conquistò buona parte della Nubia, regione desertica comprendente Egitto meridionale e Sudan settentrionale. Nelle sue schiere di soldati pare fossero presenti anche diversi ungheresi, probabilmente figli di contadini appartenenti alle comunità cristiane nei territori controllati dall’Impero che, grazie alla pratica del devşirme (sostantivo turco traducibile come “raccolta”), venivano reclutati e addestrati come Giannizzeri, guardia personale del sultano.
Le truppe si stabilirono a Wadi Halfa, nell’attuale parte nord del Sudan. Il loro leader, Ibrahim el-Magyar, era un uomo proveniente da Buda che successivamente sposò una donna appartenente ad una tribù nubiana ed ebbero 5 figli, riconosciuti ancora oggi come i padri dei magyarab.

La storia venne narrata da Gábor Pécsváradi, monaco francescano ungherese. Nei suoi scritti sostiene di aver incontrato dei cristiani magiari nelle file delle truppe ottomane a Gerusalemme già nel 1516, appena un anno prima della conquista nubiana da parte dell’esercito del sultano Selim I.

magyarab furono presto dimenticati e riscoperti solo nel 1935 grazie al conte László Almásy, esploratore ed aviatore ungherese, le cui avventure sono menzionate nel romanzo “Il paziente Inglese” di Michael Ondaatje. Nei suoi scritti riguardo le proprie missioni nel Sahara, l’autore racconta una sua visita a Wadi Halfa. Qui, durante una conversazione con un commerciante, udì il nome di Ibrahim el-Magyar. Questo bastò a catturare la sua attenzione e farsi raccontare la leggenda dei magyarab. Il conte visitò la tribù il giorno seguente, rimanendo sorpreso dal fatto che i membri stessi si definirono come una popolazione proveniente dall’Europa, trasferita dal sultano ottomano Solimano il Magnifico. Precisamente, riferendosi al luogo d’origine, viene menzionato il termine “Nemsa”, che in arabo sta per Austria, ma nel XVI secolo poteva trattarsi benissimo di qualsiasi regione dell’Impero Austriaco.

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Dopo il conte Almásy fu la volta dell’arabista ed interprete István Fodor, nel 1965, ad avventurarsi nel Sahara, alla ricerca dei Magyarab. Trascorse diverso tempo con loro, notando che non solo presentavano tratti fisici più europei che africani (capelli e pelle più chiara rispetto alle tribù vicine), ma anche alcuni proverbi ed espressioni ricordano molto quelli usati dagli ungheresi stessi. La frase “Ál-Mágyárí lá jiszálli fíl-meszgyid” (traduzione: gli ungheresi non pregano nelle moschee) indica non solo una somiglianza linguistica, ma anche una divergenza delle tradizioni della regione nubiana, a maggioranza islamica.

Emblematico anche il nome della popolazione: la parola “ab” si può tradurre come tribù nell’antico nubiano, mentre “magyar”, letteralmente magiaro, viene usato dagli ungheresi ancora oggi per identificare sé stessi e la propria nazionalità.

Tuttora i magyarab, per quanto il loro numero esatto sia incerto, hanno buoni rapporti con l’Ungheria. Nel 2006, su invito della comunità islamica ungherese, una delegazione rappresentante i magyarab ha visitato la capitale Budapest, accompagnati anche da alcuni membri del parlamento magiaro. Inoltre, dal 1992, la tribù appartiene alla “World Federation of Hungarians” (Magyarok Világszövetsége).



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