Ungheria News intervista Massino Lensi, militante e dirigente politico radicale. Lensi vive a Firenze, dove è nato nel 1959. Giornalista free lance, ha collaborato con alcuni quotidiani e scritto due libri: “Indocina Libera, dove la democrazia è reato” (Libri Liberal) e “Oltre Chiasso. Il mio viaggio con Marco Pannella e il Partito Radicale Transnazionale” (Nardini Editore). Lensi è stato arrestato ed espulso per aver manifestato contro i regimi di numerosi Paesi dell’Est Europa. Per la stessa ragione ha trascorso due settimane in un carcere di Vientiane (Laos) nel 2001. Ha ricoperto più volte cariche elettive negli enti locali fiorentini. 

Come nasce l’idea, all’interno del Partito Radicale di Marco Pannella, di mandare qualcuno in Ungheria dall’Italia?

Il Partito Radicale era già in giro per l’Europa da molti anni. Nella seconda metà del 1988, facemmo un lungo braccio di ferro col governo Jugoslavo per organizzare il congresso del partito a Zagabria, dove la militanza radicale era presente già da molti anni. Poi, ricevemmo un no secco da Milosevic e compagnia, che ci portò a pensare ad un’alternativa per il congresso del 1989. Il Partito Radicale organizzava già da tempo alcune delle sue riunioni più importanti all’estero, così decidemmo di fare un Consiglio Federale, che era una sorta di “governo interno” del Partito, a Bohinj, nella Slovenia settentrionale, dove decidemmo che il congresso si sarebbe dovuto tenere a Vienna. Di conseguenza, prendemmo contatti per organizzare il congresso lì, ma questa cosa, a noi militanti, non andava giù. Infatti, per noi il fatto di celebrare un congresso a Vienna non aveva nessun significato politico. Così, Olivier Dupuis, che era già stato a Budapest in passato, mi chiamò per raggiungerlo nella capitale ungherese da Trieste, dove avevamo il centro logistico per le iniziative nell’Est Europa. Tra l’altro, per raggiungere l’Ungheria dovetti evitare la Jugoslavia, dalla quale ero stato espulso. Arrivati in Ungheria, facemmo molte interviste sul Magyar Hírlap e altri quotidiani nazionali. Prendemmo contatti con Pozsgay, leader del Fronte Popolare, al quale illustrammo il progetto del congresso. Nel frattempo, prendemmo contatti con le opposizioni democratiche ed attendemmo una settimana per avere un responso da parte di Pozsgay, che doveva decidere se avremmo potuto fare il congresso a Budapest oppure no. Dopo una settimana, ci ricevette nell’albergo ove si stava celebrando una riunione del Fronte Popolare, e ci dette l’annuncio che potevamo fare il congresso a Budapest. Da lì iniziò una corsa contro il tempo per organizzare il primo congresso del Partito Radicale all’estero, in quanto ci concessero delle date precise, che avremmo dovuto rispettare a tutti i costi. L’organizzazione del congresso fu una corsa contro il vento, con poche persone a disposizione, che facevano perlopiù avanti indietro dall’Italia. Tuttavia, celebrammo il congresso nell’aprile del 1989 al Palazzo dei Sindacati di Dózsa György utca, a circa metà strada partendo da Hősök tere. La sala che ci concessero era tutta in legno, in puro stile realsocialista.  Gli interventi dei congressisti, essendo in varie lingue, venivano tradotti in simultanea dai giornalisti della “Magyar Radio”, la quale, per motivi propagandistici, era dotata di diverse sezioni linguistiche, tra cui l’italiano. Per l’occasione, i giornalisti della Radio Magiara tradussero il congresso in molte lingue: francese, italiano, inglese, serbocroato e, ovviamente, ungherese. Così, per la prima volta, il Partito Radicale riuscì a celebrare il proprio congresso in un paese straniero, per di più ancora appartenente al Patto di Varsavia. Marco Pannella aveva avuto l’intuizione geniale di fare il congresso in un paese socialista per dare una spinta antipartitocratica all’Europa, che aveva visto da poco il fallimento del progetto europeista di Altiero Spinelli. L’idea di Pannella era quella di creare un transpartito, che lottasse per gli stati uniti d’Europa, e che partisse dall’est Europa per dare inizio ad un’onda di nuova vitalità ad un occidente che aveva perso la propria natura “spinelliana”. Negli anni che seguirono quel congresso, arrivammo ad avere più di 200 parlamentari dell’Est Europa iscritti al Partito Radicale. Col congresso a Budapest non cercavamo “proseliti”, ma c’era dietro un preciso disegno: far partire da questi paesi vergini dalla partitocrazia che si stavano giusto affacciando alla democrazia, un’istanza genuina per un’Europa unita.

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Manifesto del congresso del Partito Radicale Transnazionale a Budapest, affisso per le strade della città.

Quale era il tuo ruolo esattamente a Budapest?

Dopo il Congresso di Budapest, Pannella mi prese da parte e mi disse di rimanere a Budapest, dove avremmo dovuto organizzare le attività del Partito Radicale per tutto l’Est Europa. Il nostro compito era quello di mettere su una vera e propria struttura politica in questa regione: arrivammo ad avere sedi operanti a Tirana, Sofia, Varsavia, Bratislava ecc. Avevamo un indirizzario con migliaia di persone registrate, circa 4000 iscritti e molti militanti locali che si unirono a noi. La prima sede del Partito a Budapest era in Tanacs Körút (oggi Karoly körút), e rimanemmo là per quattro o cinque anni. Poi ci spostammo a Dorottya utca, sopra la pasticceria Gerbeaud, giusto dietro Vörösmarty tér. In quegli anni stampavamo anche un giornale radicale in 15 lingue che si chiamava “il partito nuovo”, che aveva anche l’edizione in lingua ungherese: “Az új párt”. A Budapest arrivammo ad avere un centinaio di iscritti più 50/80 nel resto del paese, con una struttura militante autonoma rispetto agli italiani, anche se comunque cercavamo di orientare le loro attività. All’organizzazione del Partito portavamo avanti anche alcune battaglie politiche, ovviamente. Una di queste la facemmo in Vörösmarty tér, ove ponemmo una finta sedia elettrica al centro della piazza per protestare contro la pena di morte. Organizzammo inoltre molte iniziative sul Tibet con l’associazione d’amicizia Tibet-Ungheria, ove la tematica è particolarmente sentita: non a caso a Budapest è presente una delle due ambasciate tibetane in esilio in Europa, insieme a Ginevra.

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Articolo di Kurir, quotidiano ungherese dell’epoca, sulla manifestazione contro al pena di morte in Vorosmarty ter. Sulla finta sedia elettrica è seduto Massimo Lensi.

Quali relazioni avevate con gli altri partiti politici ungheresi? Chi partecipò di loro al congresso?

Al congresso parlarono tutti i membri dell’opposizione democratica ed anche i rappresentanti dell’MSZMP, gli eredi del regime comunista. Invitammo le delegazioni di tutti i partiti, i quali non si fecero scappare la possibilità di presentarsi davanti ad un partito occidentale. Ci guardavano tutti con un po’ di sospetto, ma era comprensibile, avevano bisogno di mettere a fuoco l’idea particolare di questo “partito transnazionale”. In un primo momento il partito più vicino a noi fu la FIDESZ, che all’epoca era totalmente diverso da quello che è ora. Con Orbán ci parlai un paio di volte, era un ragazzotto col quale ebbi l’occasione di confrontarmi in qualche occasione. Siamo ancora in un periodo molto bello, fluido, di grande attività politica nella giovane Repubblica Ungherese. Sul piano della politica interna, le cose cambiarono con István Csurka, il quale dette vita ad un partito di estrema destra che difatti principiò quella retorica incentrata su Trianon ed il nazionalismo, che ancora oggi inquinano il dibattito politico ungherese. Infatti, fino al biennio ’91-’92 la questione nazionalista era piuttosto sopita, mentre con Csurka ritornò pienamente in voga.

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Basile Guissou, ministro degli esteri del Burkina Faso, interviene al 35° Congresso del Partito Radicale.

Quale fu la risposta della stampa locale alle iniziative del partito radicale? E di quella italiana?

I giornali italiani interpretarono il congresso solo in chiave esclusivamente italiana. Non a caso, alcuni quotidiani titolarono “Pannella lascia i socialisti e abbraccia i comunisti”, non capendo la dimensione transnazionale del progetto radicale. In Ungheria, invece, la stampa nazionale, rappresentata dal Népszava, il Magyar Hírlap, il Magyar Nemzet, ed il Népszabadság, seguì di più il congresso e capì la sua vera dimensione. Era più facile spiegare agli ungheresi il Partito Radicale, del quale non sapevano nulla, rispetto alla stampa nostrana.

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Giugno 1989, assemblea con gli iscritti radicali, Università ELTE. Da sinistra a destra: Dupuis, Stanzani, Parcz Ferenc e Massimo Lensi

Cosa ha rappresentato per te quel congresso e l’esperienza ungherese in generale?

Fu un’esperienza ungherese ma non solo, in quanto il mio compito era anche quello di seguire anche tutte le altre sedi del partito nell’Europa dell’est, da Bucarest a Tirana. Alla fine, dividevo il mese tra Budapest e le altre sedi europee. In ogni caso, è stata un’esperienza bellissima, di un ragazzo che credeva nell’Europa unita e dava il via ad un percorso, che era anche militante, per realizzarla. Inoltre, mi ritrovai nel 1989 a vedere coi miei occhi tutti fatti che sono risultati epocali per la storia del nostro continente: dalla caduta del muro di Berlino alle prime elezioni democratiche nei paesi dell’ex blocco sovietico, dalla nascita della democrazia alla Rivoluzione di Velluto in Cecoslovacchia. Per fare un esempio, nel 1989 mi trovavo al confine con l’Austria, dove ebbi la possibilità di vedere l’esodo di Trabant, cariche di persone, che dall’est scappavano verso l’Austria. Oltre che politica, quella ungherese è stata anche un’avventura anche personale. Ricordo con affetto, ad esempio, la mia bellissima casa a Rozsa Domp, che amavo molto.

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Febbraio 1990, sede del partito in Tanacs korut 9. Da sinistra: Olivier Dupuis, Andrea Tuza (militante-segretaria) e Massimo Lensi

Cosa ci puoi raccontare di Marco Pannella a Budapest?

Pannella venne a Budapest anche altre volte, dopo il congresso, per degli incontri che gli organizzavamo. Il problema principale di Pannella è sempre stata la lingua, in quanto non aveva la conoscenza della lingua ponte per eccellenza: l’inglese. In occasione del congresso, Pannella venne sicuramente riconosciuto nel ruolo di leader, ma forse non apprezzato come avrebbe potuto, perché non compreso. In ogni caso, i congressisti ungheresi furono senz’ombra di dubbio più concentrati sul partito in sé che non sulle sue figure. In occasione del congresso, stampammo un libro sul Partito Radicale in varie lingue, tra cui l’ungherese, che chiamavamo “Numero Unico”, che tra i suoi obiettivi aveva anche quello di spiegare il personaggio di Pannella. Tra l’altro, Pannella a Budapest fece degli interventi meravigliosi sulla teoria e sulla prospettiva politica dell’idea transnazionale. Vide già all’epoca quelli che sarebbero stati i problemi attuali del nazionalismo, dando come soluzione l’idea che abbiamo sempre portato avanti: il transnazionalismo.

 

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Foto: Collezione privata di Massimo Lensi, Partito Radicale