Sabato scorso, per la seconda settimana consecutiva, i partiti ed i movimenti politici dell’opposizione sono tornati in piazza per protestare contro il Primo ministro Orbán, da poco uscito vincitore alle urne con una maggioranza schiacciante, e per manifestare a favore della libertà di stampa e lo stato di diritto. Al grido di “Noi siamo la maggioranza – manifestazione per la democrazia”, gli attivisti dei partiti d’opposizione, da Jobbik a Momentum, dal Partito Operaio alla Coalizione Democratica dell’ex Primo ministro Gyurcsányi, si sono riuniti davanti al Parlamento, da cui hanno poi dato seguito ad un corteo.

Secondo le stime della stampa e degli organizzatori, alla prima manifestazione di due settimane fa avrebbero partecipato circa 100mila persone, mentre alla seconda di sabato scorso le stime sulla partecipazione differiscono non poco tra quelle fornite dagli organizzatori, circa 100mila, e quelle dell’opinione pubblica, qualche decina di migliaia.

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Immagine della prima manifestazione di due settimane fa

Giunti al termine delle manifestazioni, in entrambi i casi a prendere la parola non sono stati i leader nazionali dei partiti che vi hanno aderito, ma una serie di attivisti per i diritti umani, giornalisti e militanti. Sabato scorso, tuttavia, a prendere la parola è stato Peter Marki-Zay, sindaco di Hodmezovasarhely, città simbolo di quell’opposizione che unita, due mesi fa, ha strappato lo storico feudo del FIDESZ con un’inaspettata vittoria elettorale.

Il motto del sindaco di Hodmezovasarhely rivolto alla folla riunita in Szabad sajtó út è stato “ci sarà una nuova opposizione, voi siete l’opposizione”, facendo riferimento al fatto che solamente uniti si potranno riaffermare i valori della democrazia e della libertà, invisi da Orbán e dal suo governo.

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Peter Marki-Zay, sindaco di Hodmezovasarhely

Tuttavia, l’idea di poter rendere a livello nazionale ciò che è stato fatto, per un’unica volta, a livello locale, sembra sinceramente irreale. Anzi tutto per un semplice fatto: prima delle elezioni nessun partito dell’opposizione è sembrato appoggiare l’idea di una grande coalizione “anti-Orbán”, tanto che i risultati elettorali sono oggi alla portata di tutti. Ora, a due settimane da un risultato elettorale “doloroso” ma prevedibile, i rappresentanti dei suddetti partiti vorrebbero “combattere” uniti nel nome di valori che, per forza di cose, non sono neppure condivisi da ciascuno di questi movimenti. E comunque è troppo tardi.

Inoltre, pare necessario aggiungere un altro dato, questa volta di genere antropologico: i manifestanti in piazza. Infatti, tanto al corteo di sabato scorso quanto a quello di due settimane fa, sono state molte le bandiere dell’Unione Europea, sventolate dai militanti dei partiti della sinistra, assieme alle cosiddette bandiere di Árpád, uno dei vessilli cari all’ultra-destra ungherese. Molte anche le bandiere dei movimenti LGBT e quelle rosse del Partito Operaio, accanto alle insegne di Jobbik. Due mondi antitetici che marciano insieme confermano quanto ribadito in precedenza: l’unità è solo un motto sbandierato dagli organizzatori della manifestazione. Figuriamoci cosa potrebbe accadere nella remota possibilità della formazione di un governo.

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Un manifestante con le bandiere dell’Unione Europea, di Árpád, del Movimento Internazionale Rom, della Terra dei Siculi e del Movimento LGBT

In ogni caso, gli organizzatori hanno fatto sapere che un’altra manifestazione avrà luogo l’8 maggio prossimo. La loro idea, più o meno palese, è quella di continuare a manifestare per i prossimi 4 anni di presidenza Orbán. Tuttavia, è facile presumere che il carrozzone non potrà andare avanti ancora a lungo: l’unità d’intenti non potrà mai avere la meglio sulla storia e le idee delle persone e dei movimenti politici d’appartenenza, che hanno alle spalle un bagaglio storico ed ideologico troppo distanti per poter garantire un’opposizione unitaria.

 

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