Articolo di Nico Pirozzi

Tornare nel luogo dove erano nati Misi e Titi, deportati ed uccisi ad Auschwitz nell’estate del 1944, non è stata cosa semplice. Lo sanno bene Agi Berta, Balla Margit, Cecilia Horváth, István Javor e Ágnes Fenyo, senza il cui aiuto nessuno dei 51 ebrei deportati dalla città di Lenti sarebbe mai “tornato” a casa. O meglio a far parte di una memoria smarrita nel vortice della Shoah 75 anni fa.

Corso Lenti

Il corso principale di Lenti, in Ungheria, dove vivevano Misi e Titi

Ricostruirne la storia e arrivare fino ad oggi, non è stato facile. Tutto cominciò circa vent’anni fa, quando dall’archivio di Yad Vashem spuntarono i nomi (ungheresi) di trenta ebrei deportati da Altavilla Silentina, nel Cilento, a due passi da Paestum. In realtà – ma lo scoprirò solo molti anni dopo – quelle persone ad Altavilla Silentina non c’erano mai state né, tantomeno, vi erano nate. Cos’era accaduto? Con ogni probabilità, si trattava di certificati in bianco trafugati dagli uffici della Casa comunale del piccolo centro Cilentano, assieme a qualche timbro, e portati sino a Lenti, in Ungheria. A farceli arrivare era stata una rete di complicità al cui vertice, probabilmente, vi era Giovanni Palatucci, responsabile dell’Ufficio stranieri della questura di Fiume, e suo zio Giuseppe Maria, vescovo di Campagna, il paese, confinante con Altavilla Silentina, dove, sin dall’estate del 1940, il regime fascista aveva aperto due campi di internamento per ebrei apolidi, molti dei quali originari dell’Ungheria o di località che facevano parte dei territori della Grande Ungheria persi con il Trattato di Trianon.

In pratica, quei documenti potrebbero essere stati trasportati da un ignaro militare di leva originario di Campagna (Albertino Remolino), che prestava servizio a Fiume, e che in più di un’occasione si era prestato a fare da “postino” tra i due Palatucci. Poi, a far arrivare i certificati da Fiume fino a Lenti potrebbe essere stato un ristoratore della zona che, in quegli stessi anni, faceva settimanalmente la spola tra le due città. A questo punto appare necessario aggiungere che l’intera comunità ebraica di Lenti era composta da 51 persone. Uomini e donne che avevano contribuito alla modernizzazione di un paese caratterizzato da un’economia primaria.

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Panoramica su Altavilla Silentina (SA)

Ma torniamo alla nostra storia e a quei numeri che ci dicono anche che, nell’estate 1944, sicuramente 2 su 3 ebrei di Lenti erano in possesso di falsi certificati di nascita o residenza italiani (quelli trafugati da Altavilla Silentina). A cosa potevano servire? Cominciamo col dire che l’Ungheria non era un paese che aveva in simpatia gli ebrei (agli inizi degli anni Venti era stata approvata la legge sul numerus clausus, la prima normativa antiebraica d’Europa). E ancora, nella vicina Austria, sin dal marzo del 1938 (quando i nazisti avevano invaso il Paese annettendolo al Reich), gli ebrei erano stati costretti a fuggire; lo stesso era accaduto in Croazia, dove all’aprile del 1941 si era insediato il regime fascista di Ante Pavelic.

Dunque, gli ebrei di Lenti da anni sapevano cosa stesse accadendo a due passi da loro. Ma qualcuno avrebbe potuto aver detto loro che gli ebrei che riuscivano a dimostrare un’origine italiana non correvano rischi. Quindi, quei falsi certificati sarebbero potuti servire proprio a questo scopo. Ma avrebbero potuto essere utilizzati anche per raggiungere Ljubljana o i territori della Bassa Carniola (che dal 1941 erano una provincia italiana) distante meno di duecento chilometri dal confine ungherese, oppure Fiume (fino a qualche decennio prima il porto di Budapest), per confondersi tra le migliaia di profughi – soprattutto magiari – presenti nella città.

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La mostra dedicata agli ebrei di Lenti organizzata da Balla Margit a Budapest

Ma l’armistizio dell’8 settembre 1943 sconvolse anche i loro piani. Difatti, essere ebreo e per giunta italiano, agli occhi dei tedeschi e dei loro alleati delle Croci Frecciate, equivaleva a una condanna a morte. L’ordine di trasferimento nel Ghetto di Zalaegerszeg, per i 51 ebrei di Lenti arrivò nella primavera del 1944. In quel recinto non ci rimasero a lungo. Difatti, tre mesi dopo la gran parte di loro si era trasformata in uno sbuffo di fumo che si perdeva nel cielo si Auschwitz, dove erano stati deportati. Divennero uno sbuffo di fumo anche Mihaly (Misi) e Katalin (Titi) Mitzger, i due figli di Laszlo ed Erzsebet Spitzer, assassinati a 12 e 10 anni. Di loro se ne era persa la memoria, come anche degli altri 49 ebrei di Lenti. Era sparito finanche il cimitero, dove da più di ottant’anni è sepolto Jozsef Mitzger, il nonno dei due bambini.

Poi, undici anni fa, il mio libroFantasmi del Cilento”, che racconta quella storia, e una foto (quella che mi inviò George Tamari, il cugino di Misi e Titi, che da più di sessant’anni viveva a Thornhill, nei pressi di Toronto) delinearono i volti di due bambini. Tre anni fa la “scoperta” di Agi: una napoletana di Lenti, che vive a pochi chilometri da dove abito. E ancora la lunga conversazione con Zsuzsa Arany Horvath, una giornalista di Zalaegerszeg che rilancia la storia dalle colonne del suo giornale. Infine, la mostra e un documentario ai quale hanno lavorato Margit, Cecilia, István e Ágnes.

E oggi, 74 anni dopo, il ritorno a Lenti…

 

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Foto: Nico Pirozzi, InfoCilento, Lauder Yavne Iskola