La mattina del 17 febbraio a Budapest si è materializzato l’incubo di Orbán. Il movimento Momentum ha presentato 266.000 firme per fermare la candidatura di Budapest alle Olimpiadi del 2024, un numero ben superiore alle 138.000 richieste per indire un referendum. Il vaso di pandora si è rotto. Il successo della raccolta firme è stata una doccia fredda per il governo che quindi ha preferito ritirare la candidatura ed evitare il voto. Ma cerchiamo di capire quali sono stati i passi che hanno portato a questo scontro sulla candidatura olimpica che appena due anni fa, nel giugno del 2015, era stata approvata dal 92% del Consiglio comunale di Budapest riscuotendo un supporto trasversale tra i partiti.

La città non è nuova al sogno olimpico, già per l’edizione del 2020 c’era stato un interesse. L’Ungheria, membro fondatore del CIO, aveva deciso di riprovarci per il 2024. Candidatura che inizialmente sembrava supportata da un consenso unitario sia dai partiti che dalla cittadinanza. Al Consiglio comunale il 23 giugno 2015 ci sono 25 Sì, 1 astenuto e 1 no. In luglio il Parlamento approva con circa l’80% dei voti, contrari la sinistra e LMP. Ma ancora un sondaggio condotto il 9 settembre del 2016 dava un netto vantaggio ai favorevoli alla candidatura, 58% a livello nazionale.

Le crepe al progetto sono arrivate nel 2017 quando Momentum, nato appena pochi mesi prima, inizia una raccolta firme per indire un referendum. L’azione riscuote grande successo. Così ben presto si accodano i partiti dell’opposizione che mobilitano il proprio elettorato. In un mese vengono raccolte 266.000 firme. Un exploit se si pensa che il sindaco di Budapest, Tarlos (Fidesz), è stato eletto con 290.000 voti. Anche a fronte del 10-15% di firme nulle, il successo dell’iniziativa rimane clamoroso e getta un’ombra pesante sul progetto olimpico.

Dal 17 febbraio seguono giorni convulsi tra gli esponenti del Fidesz. Accusano Momentum di aver ordito una trama politica in combutta con i partiti dell’opposizione per fare fallire “un progetto di grande importanza nazionale”. Non è nascosto che durante la raccolta firme il Fidesz, ma anche gli organi di stampa nazionali, abbiano cercato di mettere in cattiva luce l’iniziativa. Raccolta portata a termine anche grazie all’aiuto degli altri partiti: 20.000 firme raccolte dalla sinistra (il numero delle firme dei socialisti non è conosciuto), 33.000 da LMP, 4.000 da MKKP. Lo smacco subito dal governo è stato così cocente che Orbán ha deciso di non arrivare all’indizione del referendum, ma ha preferito ritirare la candidatura.

La scelta politica è stata chiara, anche se all’interno del partito più di qualche esponente avrebbe preferito continuare la lotta fino al referendum. L’Ungheria si avvicina alle elezioni politiche del 2018, la “sconfitta” al referendum sulle quote dei migranti ancora brucia su un primo ministro non abituato a perdere. Organizzare un referendum dall’esito incerto poco prima delle elezioni avrebbe potuto solamente rivitalizzare un’opposizione che non ha nulla da perdere. Orbán ha quindi preferito rinunciareUna scelta non facile perchè Orbán, si sa, conta molto sui grandi eventi sportivi. Negli ultimi anni il budget messo a disposizione per costruire impianti sportivi (non solo calcistici) è stato enorme.

Momentum è quindi riuscito nell’intento di fermare quello che a suo parere sarebbe stata una catastrofe per i cittadini. Una spesa enorme di soldi che sarebbero andati ad ingrassare tasche di speculatori e corrotti. La raccolta firme ha anche evidenziato però come sempre maggiore sia il distacco tra la percezione dei cittadini e quella dei partiti. Se non fosse stato per Momentum probabilmente non si sarebbe discusso così tanto delle Olimpiadi, visto che negli anni precedenti poche erano state le voci contrarie alla candidatura. Rimane da chiedersi come mai questa raccolta firme sia stata organizzata due anni dopo la candidatura ufficiale. Due anni in cui il Comitato olimpico ha speso centinaia di milioni. Soldi, questi sì, spesi inutilmente.

Di Budapest 2024 oggi rimangono quindi solamente i milioni di fiorini spesi finora per la candidatura, una serie di bei progetti che non verranno mai realizzati e l’evidenza di un distacco sempre più marcato tra i progetti del governo e i bisogni dei cittadini.

 

 



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