Articolo di Giulia Stefano di Eastjournal.net

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Da Budapest – Risale a metà del mese scorso il culmine delle acredini tra Unione Europea e Ungheria: il 17 maggio infatti il Parlamento Europeo, dopo la procedura d’infrazione di aprile, ha votato per l’attivazione dell’articolo 7 del Trattato dell’UE. Per arrivare a richiedere l’applicazione di tale norma, che può essere richiesta solo con una votazione a maggioranza dei 2/3, il Parlamento deve aver riscontrato una violazione dell’articolo 2 del Trattato, da parte di uno degli stati membri. Le disposizioni dell’articolo 2 garantiscono e sanciscono il rispetto e la tutela dei diritti umani, delle minoranze, della tolleranza e della non discriminazione.

Sono gravi quindi le accuse rivolte all’Ungheria di Orbán, che se fondate e verificate dal Consiglio Europeo potrebbero portare ad una sospensione del diritto di voto dei rappresentanti magiari all’interno dello stesso Consiglio. Nello specifico la risoluzione richiede: l’avvio della procedura di applicazione dell’articolo 7, la richiesta al Governo magiaro di ritirare quelle leggi in conflitto con l’articolo 2 e infine che la Commissione monitori l’utilizzo dei fondi europei da parte ungherese. Il Parlamento quindi con una maggioranza di 393 voti favorevoli, 221 contrari e 64 astensioni ha adottato la risoluzione rilevando chiari rischi per lo stato di diritto. Numerosi i membri (circa 67) del Partito Popolare Europeo, casa di Fidesz, a votare per la risoluzione.

Al centro del dibattito europeo sull’Ungheria, non solo la lex-CEU, ma anche questione rifugiati, la legge sulle Organizzazioni Non Governative. Dalla seduta plenaria tenutasi lo scorso aprile non è cambiato molto e in quell’occasione numerosi parlamentari si erano espressi contro le politiche magiare, lamentando anche la lentezza e l’incapacità di reazione da parte europea.

L’ evento è senza precedenti, e l’Ungheria è ora chiaramente la pecora nera d’Europa. Le reazioni interne sono state tuttavia abbastanza moderate e, sembrerebbe, soprattutto volte a sminuire la gravità delle potenziali sanzioni. Il Ministro degli Esteri Szijjártó ha incolpato il nemico numero uno George Soros, mentre il premier ha spostato l’attenzione sui successi economici magiari. D’altra parte non sembra che il governo magiaro sia intenzionato a rientrare nei ranghi della normativa europea, né per ciò che concerne le questioni migratorie né per quanto riguarda la legge sulle ONG e la riforma del sistema educativo. In una recente conferenza stampa János Lázár, Capo dell’Ufficio del Primo Ministro, ha affermato che la sicurezza ungherese avrà sempre la precedenza rispetto ai dogmi europei.

Nel frattempo in Belgio si è tenuto il Bruxelles Economic Forum, ospitato dalla Commissione Europea. L’evento ha dato adito a ulteriori polemiche da parte magiara visto l’intervento di George Soros in cui ha definito l’Ungheria di Orbán uno stato mafioso. Il deputato della delegazione di Fidesz, Gergely Gulyásha colto l’occasione per un nuovo attacco all’UE, “Come può la Commissione chiedere all’Ungheria di applicare i suoi standard quando dà spazio a queste affermazioni?”

Il percorso verso un’attenuazione degli attriti magiaro-europei di sicuro non sarà né facile né breve, tuttavia sarebbe scontato e semplicistico affermare che Fidesz e Orbán mirino ad un’uscita dall’UE. In vista delle elezioni politiche del 2018 Orbán ha bisogno di consolidare il suo potere e può farlo quasi esclusivamente appellandosi a quell’elettorato timoroso delle ingerenze europee in politica interna, cavalcando l’onda dei vari nazionalismi e populismi. Allo stesso modo però è consapevole che un futuro contro l’UE sarebbe impossibile da immaginare.



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