Gli ungheresi scrivono le date e i nomi al contrario di come fanno gli altri europei, e pare, se si dà retta a Emil Cioran, filosofo romeno transilvano, “piangono ridendo e ridono piangendo”. Non sarà un caso se Antal Szerb, capovolgendo provocatoriamente questa percezione dalla parte ungherese, scrisse una “Guida per marziani a Budapest”.

La storia ha dimostrato che condannare un popolo intero per colpire il suo governo è un azzardo con pericolose conseguenze, da un punto di vista del calcolo politico pragmatico, ma è un errore grave anche da un punto di vista della filosofia politica. Ciascun individuo ha infatti il diritto, di qualsiasi comunità faccia parte, ad essere considerato nella propria singolarità, che non può mai essere puramente e soltanto funzionale a un sistema, ed un popolo, potente o debole che sia, ha il diritto ad essere letto come un’unità caleidoscopica e problematica di soggetti complessi. Pensare che un governo sia il suo popolo è una semplificazione totalitaria.

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Emil Cioran, filosofo romeno transilvano, i cui genitori parlarono ungherese tutta la vita

La democrazia è piena di difetti ma sempre perfettibile e ciò la rende la migliore delle forme di governo testate nella storia, la forma di governo che ha permesso il più lungo periodo di pace in Europa, traguardo preziosissimo che si sta perdendo di vista per una democrazia sempre più passiva e aziendale, dove per libertà si intende solo più libertà di consumare illimitatamente e per governo un apparato impersonale che riesca ad accumulare voti per conquistare il potere e sopraffare gli avversari, anche cavalcando fenomeni sociali spaventosi, certamente per vie democratiche ma di bassa qualità civile, culturale e umana.

In questa visione è evidentemente ammissibile anche identificare un paese con il proprio governo, nella prospettiva falsata e nella percepita infallibilità e ricerca di consenso e priva di cultura problematizzante, per la quale una maggioranza percentuale, relativa o assoluta che sia, calcolata sugli aventi diritto di voto che si siano recati a votare, sia esattamente e intimamente rappresentata poi dagli esiti del governo formato conseguentemente e che, soprattutto, quel governo rappresenti veramente anche la maggioranza reale, data dalla somma di tutti gli altri: i delusi, i non aventi diritto di voto, per motivi di età o altro, chi ha votato altri partiti, chi non è andato a votare pur avendone diritto, ma anche, in senso più alto, un popolo in generale nella propria complessità storica e culturale-filosofica. Che un governo si formi con una maggioranza è una elementare regola della democrazia, che abbia la pretesa di totalizzare le volontà di tutti i cittadini è una pretesa autoritaria, che non sorprende sia nell’agenda delle forze più demagogiche imperanti, ma che addirittura le istituzioni europee lo assecondino in questo percorso è inquietante.

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Elettori ungheresi votano alle ultime elezioni politiche del 2018

La storia non ha un tribunale, non deve assolvere o giudicare, dovrebbe provare umilmente a capire. Senza conoscere una cultura e volendo togliere il sapore del racconto alla storia, ciò è forse impossibile e senza una retrospettiva storica problematizzante, di cui la politica internazionale manca forse oggi in maniera straordinaria, si perde lo spessore delle cose e si apprezza tutto solo come una emergenza continua. La tecnica si dimostra sterile e suicida nella propria natura impietosa. Si ha l’impressione, insomma, che anche le scelte di politica internazionale siano dettate sempre più da una superficialità che considera tutto solo nella propria dimensione immediata.

Istvan Örkeny, umorista grottesco ungherese, scrisse che la vita è come un mucchio di peperoncini, si può cercare di farne una collanina ordinata e consequenziale, con un filo, un ago e tanta pazienza, oppure ogni tanto si può prendere un peperoncino a caso dal caos, come si ha l’impressione che l’UE stia facendo oggi. Ha da tempo perso di vista gli Stati Uniti d’Europa, sembra preferisca fare la figura di chi, annaspando, dia colpi di coda a caso, ostinandosi ad offrire letture fredde e superficiali e a non investire nella reciproca e profonda conoscenza dei popoli europei, nell’empatia e nell’orizzontalità dei rapporti, nella multiculturalità a partire dalle relazioni fra i suoi membri. Al massimo un “multiculturalismo boutique” da turismo di massa e di consumo, che tende a livellare e a non far conoscere le ragioni radicali profonde.

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Manifesto esplicativo dei territori tolti all’Ungheria con il Trattato di Trianon

L’Ungheria ha forse da sempre, più di ogni altro paese europeo, un’anima bipolare incompresa e, ridotta a un terzo del suo territorio storico, si è trovata in più occasioni, nel secolo scorso, nelle condizioni del bambino preso a cinghiate da diversi padri lontani e prepotenti, e quando gioca a fare la dura è sempre stato forse per memorie traumatiche e per la percezione di essere isolata e ostinatamente incompresa. Psicologicamente più un elemento che si auto percepisce indifeso e accerchiato e messo all’angolo, più cercherà di alzare la sua posta per vender cara la pelle, anche oltre la propria reale volontà.

Non si compra l’anima di un paese con la generosità di fondi, non la si educa chiudendo i rubinetti. La democrazia deve essere qualcosa di più.

 
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Foto: DW, Irishtimes.com, Francesco Bonicelli Verrina, Ungheria News