Il 3 aprile si vota in Ungheria. Si rinnova il parlamento, si sceglie quindi un nuovo governo.

Elezioni importanti. Il premier Viktor Orbán è in carica dal 2010, dodici anni di governo che l’hanno consacrato come il leader europeo dei sovranisti. Dodici anni che hanno visto il premier vincere costantemente elezioni nazionali, europee e locali, ad eccezione della capitale Budapest che è passata in mano all’opposizione nel 2020. 

Queste elezioni sono però più in bilico di altre. L’opposizione, divisa in tanti partiti, per la prima volta si presenta unita in una lista unica. Ma non solo. Eventi internazionali, come il covid e la guerra, hanno scosso la società ungherese e potrebbero avere un’influenza sul voto. 

Questo articolo vuole essere una breve guida per capire il voto ungherese, i suoi protagonisti, la situazione del paese e le prospettive future.

1. La situazione in Ungheria

Crescita economica e diseguaglianze sociali

I governi di Orbán sono stati contraddistinti da crescita economica e da un innalzamento del tenore di vita. L’austerity degli anni 2006-2010, con governi di centro-sinistra, avevano lasciato un paese in macerie dal punto di vista sociale ed economico. 

La politica economica di Orbán ha avuto il merito di incentivare la crescita. Già negli anni pre-covid risultava essere tra le maggiori della UE [nel 2018 +5.4% del pil] risultato confermato nel 2021 con il +7,1% del pil. Strumenti della crescita sono stati l’utilizzo massiccio di fondi europei e di investimenti pubblici, una fiscalità di indubbio vantaggio per le imprese [flat tax], la creazione di un mondo di lavoratori autonomi e partite iva con importanti vantaggi fiscali. La classe medio-alta del paese è stata favorita e si rivela la base elettorale del governo.

La crescita economia non ha però portato risultati in egual misura a tutti i settori sociali, ma anzi è stata foriera di un aumento delle diseguaglianze sociali. I nuovi ricchi sono spesso personaggi accondiscendenti con il partito di governo che li ricompensa con favoritismi nei bandi pubblici. Non è un segreto che l’amico del premier, ex-tecnico di caldaie Mészáros, grazie a una serie di proficui “investimenti” è diventato l’uomo più ricco del paese.

Nel “sistema Ungheria” i più svantaggiati sono sicuramente i dipendenti, in particolare i dipendenti pubblici, i cui stipendi sono rimasti fermi e addirittura svalutati dall’impennata dell’inflazione grande problema dell’ultimo anno. E proprio tra questi settori è cresciuta la sofferenza come anche gli scioperi, in particolare quello del mondo della scuola.

L’economia ungherese ha avuto una brusca frenata con il covid. La crisi del settore turistico, il vacillare del fiorino, insieme alla mancanza di un pacchetto ampio di aiuti per i settori in difficoltà hanno incrinato l’ottimismo pre-pandemia. Una situazione che i più pensavano superata ad inizio 2022. Poi però è arrivata la guerra. E la guerra in Ucraina potrebbe danneggiare molto di più di quello che si pensa l’economia ungherese.

La guerra in Ucraina

La guerra ha cambiato le carte in tavola, ed ha soprattutto gettato Orbán e il governo in una situazione non prevista, di difficile gestione, e per certi versi addirittura imbarazzante. 

La politica estera di Orbán è chiaramente indirizzata a favorire i rapporti tra Ungheria e “il vento dell’est”, Russia e Cina. Investimenti cinesi (linee ferroviarie, via della seta, università) e uno stretto rapporto con la Russia hanno delineato una Ungheria che sebbene continui ad essere legata indissolubilmente all’economia tedesca, è stata capace di rafforzare legami di amicizia ad est.

In particolare con la Russia. Negli anni ’90 il leader ungherese era il politico più anti-russo del paese, poi la grande svolta. La Russia, prima della guerra, rappresentava un mercato e un partner importante. Investimenti milionari per la centrale atomica di Paks, la produzione del vaccino Sputnik (l’Ungheria è stato l’unico paese UE ad utilizzarlo) sono solo alcuni elementi di una ritrovatà amicizia politica ed economica tra Budapest e Mosca.

Amicizia che ha portato l’Ungheria ad avere prezzi delle materie prime favorevoli, ma a trovarsi così anche tra i paesi più dipendenti dal gas russo. E proprio i “bassi prezzi delle bollette economiche” sono uno dei mantra delle campagne elettorali di Orbán.

Oggi l’isolamento in cui è finita la Russia ha portato gravi conseguenze all’economia ungherese. Il fiorino traballa, il prezzo delle materie prime ora è calmierato, ma non potrà esserlo per sempre. Le conseguenze sull’economia ungherese della guerra sono forti e si inizieranno a vedere tra qualche mese. 

La guerra ha però avuto conseguenze anche sul piano diplomatico. Il gruppo di Visegrád, al cui rafforzamento Orbán ha dedicato molto impegno è in crisi. Le scelte in politica estera, che fino a qualche settimana fa erano in secondo piano rispetto ad una visione comune su politiche migratorie, lotta a Bruxelles e politiche economiche, ora sono improvvisamente diventate elemento portante della relazione tra paesi. E tra i paesi di Visegrád ormai non è più ben accettato il pragmatismo della politica estera ungherese. Il rapporto tra Orbán e i suoi alleati ne esce sicuramente raffreddato.

La pandemia

La pandemia ha cambiato la vita di tutti negli ultimi due anni. Che influenza avrà sul voto ungherese? Difficile a dirlo. Il governo ungherese sicuramente si è mosso in ritardo nel 2020 all’inizio della crisi, dimostrando tutta l’impreparazione e l’inadeguatezza di un sistema di governo che aveva indebolito il settore pubblico, ed in primis la sanità

La sanità pubblica ungherese era, ed è, tra le peggiori dell’UE. Stipendi bassi, corruzione, strutture inadeguate hanno reso l’Ungheria uno dei paesi più impreparati ad affrontare la pandemia. L’Ungheria risulta il quarto paese al mondo, secondo in UE, per numero di morti covid in rapporto alla popolazione, sono stati 45.000 i morti. 

La difficile gestione sanitaria ha portato però l’Ungheria ad essere tra i paesi con la maggiore disponibilità di vaccini ad inizio 2021. Proprio la “pragmatica politica estera” magiara ha fatto sì che in Ungheria si utilizzassero anche i vaccini non occidentali e questo ha permesso al paese di avviare una campagna di vaccinazione di massa con rapidità.

Ma dal punto di vista elettorale, quello che può avere un’influenza sul voto sono le restrizioni introdotte o non introdotte dal governo. Le restrizioni sono state minime. L’Ungheria è stato uno dei primi paesi UE a togliere l’obbligo di Green Pass e l’utilizzo delle mascherine. L’obbligo di vaccinazione ha riguardato alcune categorie e non ha avuto un peso sociale importante. L’abolizione delle misure è ovviamente stato pensato anche guardando all’appuntamento elettorale.  

2. Viktor Orbán e il Fidesz

orban ungheria 2022

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán.

*Sondaggi: tra il 48-54%

Orbán è “il leader carismatico, il salvatore della patria dagli anni bui dei governi liberali di centro-sinistra che hanno portato il paese vicino al fallimento”. Questa è la narrazione tra i supporter del Fidesz. Elettori che sono disposti a permettere tutto al loro leader proprio perchè convinti di una sindrome dell’accerchiamento che vede nemici ovunque. Creare paura, creare nemici per mobilitare ed unire il proprio elettorato, questa è stata la tattica del governo ungherese. 

Prima la paura dei socialisti che hanno causato la crisi del 2006, poi la paura dei migranti, la paura di Soros e del complotto internazionale, poi è arrivata l’ora di Bruxelles e dei liberali, ed infine in questa campagna elettorale il nemico doveva essere la comunità LGBT. Proprio per questo il 3 aprile insieme alle elezioni politiche si voterà anche per quattro referndum sulla presenza dell’educazione sessuale e delle tematiche LGBT nelle scuole. L’ultimo tassello di questa narrativa della paura è stato però interrotto dagli avvenimenti internazionali. 

Il Fidesz è sicuramente il grande favorito delle elezioni. Conta su una base di sostenitori compatta. E’ un partito centralizzato, con uomini esperti e di grande competenza nella gestione di un campagna elettorale. Conta soprattutto su importanti mezzi e risorse. La tv pubblica è completamente schierata con il governo come praticamente tutti i quotidiani nazionali e locali. Ingenti risorse governative sono state spese in campagne pubblicitarie.

Secondo i piani la campagna elettorale doveva essere incetrata su due tematiche: economia e lotta alla comunità LGBT.

Il Fidesz è stato sempre considerato il grande favorito, però l’alleanza dei partiti dell’opposizione ha spaventato gli uomini del governo. Ed è così che negli ultimi mesi sono state introdotte numerose misure economiche per risollevare l’animo della propria base elettorale: prezzi calmierati per benzina e alimenti per fermare l’inflazione, restituzione delle tasse per le mamme, aumento degli stipendi del settore pubblico, aumento dello stipendio minimo, esenzione dalle tasse per gli under 25, aumento degli stipendi per i sindaci e i politici, e molte altre.

Tutte misure che però sono state finanziate creando debito. E infatti in Ungheria oggi il debito pubblico è aumentato in maniera preoccupante. Misure che quindi avranno un costo per la società ungherese e che probabilmente non potranno essere mantenute dopo le elezioni. Misure che però ci aiutano a capire come il partito di governo non ritenga per nulla scontato questo appuntamento elettorale.

3. L’opposizione, 6 partiti e Márki-Zay

Péter Márki-Zay

Il candidato premier Péter Márki-Zay.

*Sondaggi: tra il 43-46%

Péter Márki-Zay. E’ lui il candidato dell’opposizione. E’ lui che ha vinto le prime primarie organizzate in Ungheria. Una vittoria non scontata visto che al primo turno era arrivano terzo e poi, grazie anche ad una tattica audace, è riuscito a sbaragliare gli avversari. 

Márki-Zay è un politico di destra, conservatore. E questo è il principale elemento che va evidenziato in queste elezioni. Le opposizione di “centro-sinistra” candidano un politico, ex-Fidesz, dichiaratamente conservatore. Se la scelta si rivelerà azzeccata saranno le urne a dircelo. Di certo è una scelta che ha messo in difficoltà la macchina propagandistica del governo che si ritrova a combattere un candidato per certi versi più coerente con una visione conservatrice della società (Orbán ad inizio carriera era liberale).

Questa candidatura però ci dice anche che la società ungherese è indubbiamente rivolta a destra

L’opposizione oggi è composta da sei partiti. Partiti con storie diverse, partiti che negli anni sono stati anche in forte antagonismo tra di loro, oggi però si ritrovano a correre insieme, per quale motivo?

Perchè le ultime elezioni, quelle del 2018, hanno dimostrato che un’opposizione divisa non potrà mai battere il Fidesz. Il sistema di governo creato da Orbán, il clientelismo, la costituzione e la legge elettorale, ha fatto si che partiti così diversi si mettessero insieme. E’ stato un processo lungo e dispendioso che però è giunto a compimento con le prime primarie svolte in Ungheria. 

L’opposizione è unita soprattutto nella lotta contro il “sistema Orbán” accusato di avere allontanato l’Ungheria dagli standard democratici e aver creato un sistema ibrido, a metà strada tra democrazia e autocraiza. Un sistema dove la corruzione rappresenta la normalità, mentre i “valori occidentali” e i diritti civili sono stati erosi. Il programma elettorale propone quindi di ridisegnare una nuova Costituzione del paese, combattere la corruzione, introdurre l’euro e riavvicinarsi politicamente a Bruxelles.

Riuscirà l’opposizione a vincere? Difficile, ma non impossibile. L’opposizione ungherese è tradizionalmente forte a Budapest, in alcune grandi città e tra i giovani. E’ meno forte nelle aree rurali, ma in questo caso il candidato premier viene proprio dalla campagna e questo è un elemento nuovo. 

4. Gli altri: destra, comici e memo

L’estrema destra: La nostra Patria

mi hazank

I leader del partito.

*Sondaggi: 3-4%

In Ungheria il candidato premier è della “destra sovranista”, il candidato dell’opposizione è della “destra conservatrice”, e infine il terzo per forza elettorale potrebbe essere il candidato della “destra neo-fascista”

Il partito Mi Hazánk [La nostra patria] nasce da una scissione di Jobbik, partito della destra radicale che negli ultimi anni si è riposizionato unendosi all’opposizione. Alle ultime elezioni europee aveva ottenuto il 3,3%. I sondaggi dicono che potrebbe essere in crescita e puntare a superare lo sbarramento del 5% soprattutto grazie ai voti dei delusi di Jobbik. 

Il programma Mi Hazánk è incentrato sui classici temi del nazionalismo ungherese e della destra radicale. Si propone al di fuori degli schieramenti principali. 

 

Il partito del cane a due code

partito del cane

Gergely Kovács, il presidente del partito.

*Sondaggi: 3-4%

Il partito dei comici. Ma comici veri. Nato nel 2006 da un gruppo di artisti. Sarà come sempre una mina vagante, le ultime elezioni nazionali aveva ottenuto l’ 1,7% dei voti, ma oggi i sondaggi lo danno in crescita. Presenta candidati in tutti i collegi meno uno. E questa volta potrebbe veramente entrare in parlamento. 

Le scorse elezioni in un collegio elettorale aveva addirittura candidato un candidato-pollo. A parte la vena comica, è un partito dal forte spirito sociale e artistico. I contributi pubblici vengono utilizzati per opere d’arte (come la sistemazione delle fermate dei mezzi pubblici), per sistemare gli spazi verdi e in forma di beneficenza

La sua feroce critica contro qualsiasi partito politico gli ha fornito consenso e supporto. Oggi però in molti dall’opposizione l’hanno accusato di essere in realtà “un aiuto” a Orbán, perchè anche se le percentuali di consenso sono basse la maggior parte dei voti proviene da elettori delusi del centro-sinitra. 

Comici sì, ma non solo. Esemplare il caso di Zsuzsanna Döme che nel IX quartiere di Budapest si è alleata con i partiti dell’opposizone ed è diventata vicesindaco portando avanti dal punto di vista istituzionale le tematiche care al movimento.

 

Memo: il movimento per la soluzione

Un partito nato l’anno scorso grazie all’investimento di György Gattyán, businessman ungherese, diventato miliardario grazie alla creazione di un sito porno. Il partito non ha un programma chiaro anche se punta molto su giovani e digitalizzazione. Molti lo criticano accusandolo di pensare unicamente al recupero del finanziamento pubblico ai partiti o di avere come unico intento sottrarre alcuni voti all’opposizione.

Qui sotto il video promozionale del partito che si ispira alla “Casa di carta”.

*Sondaggi: 0-1%

 

5. Il voto all’estero, dove stravince Fidesz

Un elemento da non trascurare è il voto all’estero che più di altre volte potrebbe essere determinante. In Ungheria ci sono due tipi di voto all’estero, due tipologie molte diverse nella forma ma anche nella sostanza. 

 

Le minoranze ungheresi all’estero

E’ stato il governo Orbán a fornire diritto di cittadinanza e di voto in Ungheria alle minoranze ungheresi all’estero. Dal 2012 le persone ungheresi che lo richiedono possono votare. Questo corpo elettorale è egemonizzato dal Fidesz, qui la percentualE di votanti per il partito di governo supera il 95%.

Questo perchè è stato il Fidesz, da sempre, a lottare per l’estensione del diritto di voto, ma anche di altri diritti, alle comunità ungheresi all’estero. Negli ultimi anni in particolare è stata dirottata anche una importante quota di finanziamenti e investimenti verso le comunità ungheresi degli altri Stati. Università, festival, scuole e associazioni sportive qui vengono direttamente finanzite dal governo ungherese.

Questo insieme alla retorica nazionalista legano in maniera assoluta queste comunità, non tanto all’Ungheria quando al partito di Orbán.

Nel 2018 sono stati 224.000 a votare, e il 96% ha votato per il Fidesz. Questo anno potrebbero essere molti di più, forse anche il doppio. Questi voti possono essere spediti per posta e vengono conteggiati unicamente nel collegio nazionale.

ungheria diaspora

Le minoranze ungheresi all’estero

 

Cittadini ungheresi emigrati

Questi sono i cittadini ungheresi nati in Ungheria che per notivi di lavoro, studio o famiglia sono all’estero, soprattutto nei paesi dell’Europa occidentale. Tra questi votati sono i partiti dell’opposizione ad avere la meglio. E’ un corpo elettorale più giovane che quindi si rivolge a partiti ambientalisti come LMP, o di nuova formazione come Jobbik. 

In questo caso però non è possibile votare per posta, ma gli elettori devono presentarsi nelle varie sedi consolari ungheresi. 

 

6. Una società divisa, chi vincerà?

La società ungherese è divisa, estremamente divisa, in una delegittimazione dell’avversario che riguarda non solo il campo  politico, ma anche quello culturale e personale. Una delegittimazione che prosegue da anni, ed dalla quale non si vede soluzione ma che anzi si approfondisce su posizioni sempre più inconcilianti.

Oggi i due schieramente ungheresi si accusano reciprocamente di essere “traditori della patria” chi per svendere il paese a Soros chi per aver intessuto alleanze troppo strette con Putin.

Due schieramenti che non si parlano, e infatti ormai dal 2006 in Ungheria manca un confronto tra i candidati alla carica di primo ministro. Alle ripetute richieste dell’opposizione di svolgere il confronto Orbán si è sempre rifiutato. Una società divisa dai benefici economici, dalla memoria familiare, della percezione dei problemi sociali e dell’acquisizione delle informazioni.

Oggi ci sono due Ungherie. C’è chi crede ciecamente al leader Orbán e non è disposto a mettere in discussione nulla della narrazione offerta dal partito di governo. C’è poi chi non crede a questa narrazione e vede come unica possibilità di uscita la completa cancellazione delle misure prese negli ultimi 12 anni di governo.

Questi sono i due gruppi sociali ed elettorali. Negli ultimi anni il Fidesz è sempre riuscito a mobilitare il suo gruppo sociale, nelle piazze e nell’urna. I sostenitori del premier mantengono un numero di voti tra i 2,2 e i 2,8 milioni. Una minoranza nel paese, ma che grazie all’alto numero di non votanti e a una legge elettorale che favorisce il partito del Fidesz riescono a conquistare maggioranze stabili nel paese.

Dall’altro lato c’è il gruppo dell’opposizione. Che nelle ultime tre tornate ha raccimolato tra 2,2 e 2,6 milioni di voti. Ma i partiti erano divisi. Oggi invece si presentano uniti. Uniti almeno dal punto divista del cartello elettorale perchè dal punto di vista ideologico rimangono ancora divisi. Vi è il partito socialista (ex partito di governo dell’Ungheria comunista), vi sono gli ex-fascisti di Jobbik, vi sono poi liberali, democratici, verdi. Insomma una grande “unione” in cui è da valutare se l’alleanza porterà anche una somma di voti. Ma soprattutto in caso di vittoria quale sarà la linea politica dell’opposizione?

Tra questi vi sono gli indecisi, numericamente un gruppo minore che però può decidere l’esito delle votazioni.



*Nella voce “sondaggi” ci si riferisce alla voce massima e minima dei principali sondaggi effettuati dalla fine di febbraio a oggi

Per sapere come erano andate le elezioni del 2018: clicca qui!

 

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