Evacuazione degli ospedali: direttori licenziati e pazienti dimessi per dare spazio ai malati Covid-19

Secondo una lettera mandata ai direttori degli ospedali da Kásler Miklós, ministro delle Risorse Umane (RU), il 60% dei posti letto in ogni ospedale va evacuato e messo a disposizione della cura dei pazienti Covid-19. Lo scopo dell’ordine era quello di preparare 36 mila posti letto fino al 19 aprile. Il 10 aprile, 15-18 mila famiglie ungheresi sono state avvisate telefonicamente che i loro parenti sarebbero stati dimessi entro qualche giorno. In molti hanno quindi passato i 4 giorni di festa a riorganizzarsi per trovare una soluzione da un giorno all’altro per l’assistenza domiciliare del loro malato.

L’opinione pubblica ha conosciuto la situazione quando, sempre durante le feste di Pasqua, il ministro RU ha licenziato due direttori di ospedale, dr. Cserháti Péter dell’OORI (Istituto Nazionale per la Riabilitazione Medica) e dr. Csernavölgyi István dell’Ospedale Regionale Szent György di Székesfehérvár. Secondo il ministero RU non hanno eseguito adeguatamente l’ordine di evacuazione nella loro struttura.

Benché il contenuto della lettera confermi che la selezione dei pazienti da dimettere deve essere basata su parere medico e nessuno deve essere mandato a casa senza assistenza, gli ospedali hanno dimesso anche pazienti in piena convalescenza, interrompendo le loro cure. In molti casi si tratta di anziani di 70-90 anni con gravissime patologie multiple da affidare ai coniugi a loro volta anziani e conviventi con malattie croniche o portatori di handicap. La cura di questi pazienti esigerebbe spesso l’assistenza permanente di una o due infermiere 24 ore su 24.

Dietro una misura del genere ci sono drammi e tragedie. Tante persone disperate si sono rivolte ai media indipendenti per raccontare la loro situazione impossibile. ATV ha realizzato un servizio sconvolgente su tre famiglie:

La stampa ha riportato tantissimi altri casi: paziente di 77 anni con frattura del femore, rianimato due volte nelle ultime 3 settimane; paziente dimesso 2 settimane dopo l’amputazione di un arto con secreti di ferita; paziente bipolare bisognoso di assistenza permanente; paziente malato di cancro in evidente bisogno di cure mediche.

HVG ha addirittura parlato del caso di una donna che era stata chiamata venerdì dall’Ospedale Szent János di Budapest in quanto sua suocera di 76 anni sarebbe stata dimessa. L’anziana era in ospedale dai primi di marzo. Sabato, quando l’anziana convalescente da un intervento chirurgico era già a casa, l’ospedale aveva avvisato la nuora che la paziente era risultata positiva al coronavirus, ma al momento della dimissione avevano dimenticato di comunicarlo ai familiari. Ora la donna si preoccupa anche per suo marito che rientra nella categoria a rischio per le complicazioni di Covid-19 per la sua malattia cronica.

“È una vergogna che malati invalidi, vulnerabili vengano buttati fuori dagli istituti nonostante abbiano bisogno di aiuto professionale, medicine e attrezzature speciali” – dice al portale 24.hu una signora di 77 anni. A lei tocca ora prendersi cura del compagno di sua madre disabile che non sarebbe in grado di assistere un novantenne con demenza, che deve portare i pannolini e che necessiterebbe una sorveglianza continua.

“Mia zia ha 77 anni, ha la demenza, le hanno amputato un arto 2 settimane fa, e non ritornerà mai più autosufficiente. Porta i pannolini e non riesce a mangiare da sola. Non ha figli, anche i suoi fratelli sono anziani e hanno malattie gravi, non possono prendersi cura della sorella” – racconta un’altra lettrice che vive negli Stati Uniti.

“Mia madre ha avuto un ictus tre anni fa, da allora è costretta al catetere e a rimanere a letto su un materasso speciale in ospedale . La sua assistenza richiede un esperto a tempo pieno. Mio fratello ed io lavoriamo a centinaia di chilometri da lei, io abito in un condominio dove non si può custodire una paziente con demenza che a volte strilla. Qualcuno di noi dovrebbe completamente sacrificare la propria vita, lavoro e famiglia, trasferirsi nella casa di mia madre ed impegnarsi nelle cure senza esperienze ed attrezzature professionali” – si lamenta una donna.

Anche i reparti di psicologia verranno evacuati, nei quali sono ricoverati pazienti autolesionisti e pericolosi di cui hanno paura anche i familiari. Una donna ha detto che accoglierebbe a casa sua suo fratello, il quale ha distrutto un ambulatorio, ha incendiato la casa e si è comportato aggressivamente con la sua compagna, che cercava di  convincerlo a prendere le medicine e non bere più.

Müller Cecília, la dottoressa responsabile per l’emergenza epidemiologica, dirigente medica del Gruppo Operativo del governo ha dichiarato: “Spero che nessuno rimanga senza assistenza e la dimissione dei malati deve essere una decisione medica. I parenti in difficoltà possono rivolgersi agli ospedali o al Centro Sanitario Nazionale (NNK). Chiedo comprensione sia agli istituti sia ai parenti.”

Cecilia Müller

Secondo il comunicato del ministero delle RU, tutte quelle fin qui elencate sarebbero solo delle false accuse, ribadendo che i pazienti senza assistenza possono essere accolti in altri ospedali, nelle case di riposo e nei comuni che offrono assistenza sociale. Gulyás Gergely, ministro della cancelleria ha detto che il governo si stava preparando al peggio e voleva evitare di vedere immagini come quelle provenienti dagli ospedali italiani. Orbán Viktor ha dichiarato che l’evacuazione degli ospedali era un inconveniente per le famiglie e una prova generale.

Le opposizioni, gli esperti del settore sanitario e l’Associazione dei Medici (MOK) sono tutti d’accordo sull’emergenza attuale in Ungheria, ma neanche le statistiche internazionali giustificano i 36 mila posti letto per gli infettati Covid-19 in una popolazione di 10 milioni, mentre fin dall’emergenza gran parte dei pazienti non Covid-19 ha difficoltà di accedere al servizio sanitario per la proroga degli interventi elettivi. L’evacuazione forzata è stato un processo disumano sia per i pazienti, sia per i medici. Passare alle famiglie i pazienti in condizioni gravissime, interrompendo o senza terapie e cure provviste dalla sanità nazionale comporterà una tragedia. La riorganizzazione e l’accoglienza dei pazienti a casa non è stata minimamente preparata.

Szél Bernadett, parlamentare indipendente ha ribadito: “Evacuare 36 mila letti è il Taigeto di Orbán sulle rovine della sanità. Come fa una madre che lavora in remoto, aiuta i figli a studiare a distanza a badare ad un nonno demente di 90 kg? Chi fornisce e sostiene i costi dei dispositivi indispensabili per la cura di varie patologie? Come fa l’anziano malato di cancro che non si regge in piedi ad andare al bagno nella sua abitazione se il suo deambulatore non entra la porta? Come si fa a mandare a casa i pazienti senza averli testati al coronavirus? Le case di riposo attualmente non accettano nuovi pazienti, normalmente bisogna aspettare mesi per avere un posto libero. Orbán per l’emergenza ha tagliato di netto le entrate ai comuni e allo stesso tempo ha passato loro la responsabilità di assistere gli anziani, indigenti e le persone in quarantena, doveri che i sindaci organizzano oltre le loro forze con i dipendenti sociali, coinvolgendo anche volontari.”

Ospedale Szent Margit

Kökény Mihály, ex ministro della sanità ha aggiunto che un altro grosso problema generale è che il governo non informa adeguatamente i cittadini, non consulta neanche l’Associazione dei Medici e i sindaci – neanche quelli del Fidesz. “I dati forniti dal Gruppo Operativo sono pochi e insufficienti, le domande scomode dei giornalisti rimangono senza risposte. Non conosciamo i calcoli e le ragioni del governo nell’aver ordinato l’evacuazione.”

La MOK che aveva dichiarato che “le vittime invisibili” per la mancanza di trattamento medico avrebbero superato più volte il numero dei morti per il coronavirus, il 18 aprile ha scritto una lettera aperta al ministro RU richiedendo spiegazioni, opportunità di consultare e trasparenza assoluta sul contesto delle misure future. Ribadisce che la MOK continua a gestire l’emergenza dal punto di vista medico, ma in Ungheria la protezione è amministrata dal ministro degli interni, comunicata dalle forze dell’ordine, i dispositivi vengono distribuiti dal ministero degli esteri o della tecnologia.

Dal 30 marzo, infatti, i comandanti militari sono stati delegati in testa agli ospedali che controllano l’inventario dei dispositivi sanitari, gli orari del personale e la segnalazione dei dati.

Quello che sta succedendo nella sanità ungherese è lo specchio di come si è trasformato il paese dal punto di vista politico negli ultimi anni. Un governo che ha accentrato la totalità del potere, non lasciando più margini di decisione a livello periferico (per la scuola come per gli ospedali). In questa maniera le direttive del governo prevaricano la gestione locale e creano un conflitto. Ai primari degli ospedali non rimane altro però che esporre la propria critica perchè non dispongono di un reale potere decisionale. Così la decisione del governo diventa indiscutibile e non migliorabile. Decisioni che possono essere giuste come quella di voler liberare letti per preparasi all’evenienza peggiore ma che così applicate, senza il dovuto filtraggio di chi lavora sul posto, rischiano di creare più disagi che altro.

 

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Foto: ITL Group, Hungary Today