Lackfi János – Estratto dal libro Come sono gli ungheresi?

Traduzione di Júlia Iván

“L’ungherese si sveglia, pessimo umore, acciacchi alla schiena. Seduto nel letto accende la radio. Il costo della benzina è aumentato, una compagnia di trasporti è sull’orlo del fallimento, le proteste dell’opposizione contro il governo continuano, insieme alle proteste degli estremisti contro l’opposizione. L’amaro in bocca si accumula, però non è opportuno sputare sul pavimento, quindi l’ungherese inghiottisce e, scontroso com’è, si mette a riflettere.

Ma in che paese viviamo? Non abbiamo petrolio, né risorse naturali, i terreni vengono svenduti agli stranieri. È un paese senza sbocco sul mare, senza montagne e con una capitale che, come una testa enorme, divora la linfa vitale della campagna. Piatti unti, liquidi sintetici in bidoni di plastica spacciati per vino. Musica zingara, e celeberrimi scienziati, tutti rigorosamente di origine ebraica, costretti a fuggire.

L’ungherese conclude che è una vergogna appartenere a questo popolo che nemmeno all’inizio della sua storia riusciva a campare dignitosamente: l’agricoltura è stata portata dai gentili slavi, l’industria dai bravi svevi, l’orticultura dai laboriosi serbi. E tutto questo succedeva solo perché l’Europa civilizzata costringeva a buttare via la spada insanguinata con la quale l’ungherese pagano aveva finora terrorizzato la civiltà cristiana.

D’altronde, il nostro nome „hungarus” viene proprio da quegli unni infami che portavano distruzione nel mondo, lasciando alle spalle città bruciate e popoli massacrati. Gli ungheresi erano soliti girovagare in Asia, accaparrando ciò che potevano, cavalli, archi, e poi via, misero le mani su una simpatica valle nel bacino dei Carpazi. Da mercenari servivano chi pagava di più. La preghiera sussurrata dai tedeschi e francesi disperati nel Medioevo „Dalle frecce degli ungari, salvaci Nostro Signore!” risale proprio a quest’epoca.

Santo Stefano, primo re ungherese, promosse il cristianesimo attraverso duri mezzi, smembrò il corpo di Koppány, suo rivale e condottiero pagano e appese le sue membra sui muri di quattro città diverse. L’ufficio dell’igiene pubblico ignorò il rischio di epidemia e archiviò i reclami della gente. Re Mattia, il sovrano più amato dal popolo, succhiava perfino il grasso dai contadini, faceva il furbo introducendo imposte come la tassa sul fumo e sugli ingressi in città, affinché gli giungessero ricavi non solo dalle normali tasse. Spese tali soldi in libri e armi mentre i suoi sudditi rimanevano analfabeti e odiavano le guerre.

In realtà, i loro carissimi vicini adoravano gli ungheresi con una passione quasi soffocante: i turchi li controllarono per 150 anni, gli austriaci per 200, i russi per 40. Una volta ogni 100 anni, gli ungheresi si sono ribellati, inutilmente. Il persecutore di turno schiacciava la rivolta come una cicca e trovava sempre sufficienti alleati senza spina dorsale.

Nel periodo indipendente dopo il cambio di regime abbondano le delusioni, le polemiche e le battaglie contro le nazioni limitrofi. Vecchi amici di sempre ora si sputerebbero a vicenda. L’ungherese si guarda allo specchio e preferirebbe sputarsi. Perché gli ungheresi, si sa, amano fortemente deprimersi e si arrabbiano facilmente se gli viene negato il diritto fondamentale di una bella lamentela.”

 

Lackfi János è uno scrittore, poeta, traduttore di letteratura francese, professore di scrittura creativa, vincitore del premio József Attila (2000). Padre di 6 figli, attualmente è uno degli autori contemporanei più produttivi, apprezzati e discussi in Ungheria. Uno showman letterario che coglie la quotidianità attraverso l’uso di (auto)ironia e la disinvoltura del parlato umoristico. Diventa noto al grande pubblico nel 2012 grazie al libro “Milyenek a magyarok?” (Come sono gli ungheresi? – guida per stranieri e nativi)  di cui ha scritto una trilogia.

 

Qui la versione originale dell’estratto, la cui riproduzione è stata autorizzata dall’autore.
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