Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca sono venute meno agli obblighi dell’Unione, nel momento in cui hanno rifiutato di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione dei richiedenti asilo.

Questo il verdetto finale della Corte di giustizia dell’Unione europea dopo aver accolto i ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione contro i tre Stati membri.

La quota in questione era di 120,000 richiedenti asilo provenienti dall’Italia e dalla Grecia, secondo il piano adottato dal Consiglio europeo nel 2015, un anno critico, in cui oltre un milione di rifugiati, soprattutto in fuga da Iraq e Siria, era sbarcato sulle coste europee. Le quote per una redistribuzione equa dei migranti nascono quindi da una volontà dell’Unione di alleggerire il peso sulle spalle italiane e greche.

Per la ripartizione, il Consiglio aveva tenuto in conto i seguenti parametri: prodotto interno lordo, popolazione, livello di disoccupazione e rifugiati già presenti sul territorio nazionale.

Nel dicembre 2015, la Polonia aveva indicato di essere in grado di ricollocare rapidamente nel suo territorio 100 persone. Ma nessun successivo impegno di ricollocazione è mai stato preso. Nel 2016, la Repubblica ceca aveva indicato di essere in gradi di ricollocare 50 persone. Di queste solo dodici sono state trasferite dalla Grecia. L’Ungheria, invece, non aveva in alcun momento indicato un numero di persone che era in grado di ricollocare nel suo territorio.

Nel respingere la quota migranti, sia l’Ungheria, che la Polonia e la Repubblica Ceca, avevano additato motivi di sicurezza nazionale e mantenimento dell’ordine pubblico. Secondo la Corte di giustizia tali motivazioni sono inammissibili, dal momento che nessun Stato membro ha il potere di derogare a disposizioni di diritto dell’Unione mediante il mero richiamo agli interessi connessi alla salvaguardia della sicurezza interna.

Il ministro della giustizia ungherese Judit Varga ha ricordato come il piano delle quote migranti fosse irragionevole dall’inizio, e che quasi nessun Paese lo ha veramente accettato e messo in pratica. Secondo Varga, la decisione della Corte di giustizia è discriminatoria perché rivolta solo a tre Stati membri.

Qualunque sia l’opinione del governo ungherese, c’è ben poco da fare. La Corte di giustizia ha infatti sottolineato che è impossibile “riparare all’errore” dal momento che la crisi, rispetto al 2015, è sicuramente rientrata. I tre Stati sono ora tenuti a conformarsi alla sentenza e in caso contrario, la Commissione potrà proporre un altro ricorso chiedendo delle sanzioni pecuniarie.

 

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