La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che “le restrizioni imposte dall’Ungheria al finanziamento delle organizzazioni civili da parte di soggetti stabiliti al di fuori di tale Stato membro non sono conformi al diritto dell’Ue.”

Anzi, la Corte le ha definite come “restrizioni discriminatorie e ingiustificate” nei confronti delle organizzazioni non governative e dei loro finanziatori.

Nel 2017, l’Ungheria aveva adottato una legge, a detta del governo mirata a garantire la trasparenza delle ONG che ricevevano donazioni dall’estero. Dopo l’approvazione di tale legge, le ONG avevano dunque l’obbligo di registrarsi presso le autorità ungheresi nel momento in cui i soldi ricevuti superavano una determinata soglia. Il nome dei donatori doveva essere specificato, così come l’ammontare esatto della donazione.

Già a gennaio, la Corte di Giustizia aveva dichiarato che tale legge era contro il principio del libero movimento di capitali e una serie di diritti umani fondamentali. Infatti, viene introdotta una differenza di trattamento tra i movimenti nazionali e transfrontalieri di capitali, che potrebbe dissuadere le persone fisiche o giuridiche stabilite in altri Stati membri o in Paesi terzi dal fornire un sostegno finanziario alle organizzazioni interessate.

Gli effetti si erano già visti nel 2018, quando una ONG (che ha preferito mantenere l’anonimato) era stata costretta a chiudere per settimane per mancanza di cibo e beni di prima necessità.

Nel corso degli ultimi due anni, membri di diverse ONG hanno accusato il governo di aver redatto la legge solo al fine di silenziare voci indipendenti.

Anche in questo caso, come per la situazione dei migranti, il governo ungherese ha invocato l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale come le principali motivazioni dietro l’approvazione della legge. Oggi, la Corte ha ricordato come tali motivi siano ammissibili solo in presenza di minacce reali, come il riciclaggio di capitali, il finanziamento del terrorismo e alla criminalità organizzata. E nel caso specifico, l’Ungheria non è riuscita ad avanzare alcun argomento atto a dimostrare, in modo concreto, simili minacce.

Inoltre, il diritto alla libertà di associazione, uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e pluralista, viene altamente limitato, in quanto le azioni e il funzionamento delle associazioni rientranti nella legge risultano più difficili.

Nel 2017, Stefania Kapronczay, direttore dell’Unione ungherese per le libertà civili (HCLU), aveva deciso di boicottare la legge e, insieme ad altre associazioni, di non registrarsi nell’apposito registro.

Un danno anche di reputazione, come lo aveva definito la signora Kapronczay, dal momento che tali ONG risultavano essere “non conformi alla legge.”

Il centro sociale Aurora, nell’ottavo distretto, ha faticato molto a rimanere aperto. Nel corso degli anni, il municipio ha dato il via a una serie infinita di controlli, con le scuse più disparate. A un certo punto ha persino tentato di comprare l’edificio in modo da poter sfrattare l’associazione.

L’Aurora è ancora aperto. Così come tanti altri centri che festeggiano la decisione della Corte di Giustizia come una grande vittoria. Adesso l’Ungheria dovrà rispettare la sentenza, abrogando o modificando la legge, oppure rischierà di ricevere una procedura d’infrazione.

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Foto: Centro Sociale Aurora