Articolo di Andrea Lombardi

 

Un “cocktail” di microrganismi è in grado di disintegrare la plastica in sole 7 settimane: lo rivela una recente ricerca condotta da due giovani scienziate ungheresi, Liz Madaras e Krisztina Lévay, fondatrici dell’azienda di biotecnologia Poliloop a Budapest, che da 2 anni lavorano alla creazione di una soluzione eco-sostenibile per fronteggiare il problema globale dello smaltimento della plastica.

L’inquinamento da plastica è una delle questioni ambientali più preoccupanti per la terra e gli esseri viventi, e tra le principali cause dei mutamenti che stanno interessando il pianeta negli ultimi anni: eppure ancora senza una soluzione concreta. Al momento si calcola che solo il 9% della plastica venga riciclata, un dato esiguo se comparato a quella che viene prodotta.

Secondo il rapporto annuale di PlasticsEurope, nel 2019 il mondo ha immesso nell’ambiente 368 milioni di tonnellate di plastica (nel 1964 ne producevamo “solo” 15 milioni): di queste, 57 milioni in Europa. Nel 2020, a seguito della pandemia, il consumo di plastiche monouso potrebbe essere aumentato del 300% secondo alcune stime, soprattutto a causa della diffusione delle sanitarie (guanti, mascherine, flaconi ecc.); inoltre, il lockdown ha fatto crollare i prezzi del petrolio, materia prima per la produzione di plastica, disincentivando il riciclo nella grande produzione; a ciò si aggiunge la dismessa della raccolta differenziata in molte realtà locali in seguito alla pandemia, e già si delinea un quadro dell’emergenza ambientale che ci troviamo a fronteggiare oggi.

Se da un lato è vero che negli ultimi anni la sensibilità nei confronti della questione della plastica è in aumento e si stanno moltiplicando le soluzioni alternative all’uso di polimeri, sia nelle produzioni su larga scala che nell’ambito domestico, dall’altro sembra chiaro che occorre anche un modo per smaltire la plastica già presente nell’ambiente. La natura da sola non può farcela, potrebbe impiegare secoli per digerire una bottiglia utilizzata per l’acqua.

L’impiego di organismi mangia-plastica è già stato ipotizzato in passato da parte di scienziati e studiosi da ogni parte del mondo, alla ricerca di una soluzione definitiva alla questione della plastica.

Nel 2012 un gruppo di francesi ha osservato l’azione corrosiva dell’enzima LLC su alcune tipologie di plastica. Negli stessi anni veniva promosso il progetto BioClean, finanziato dall’UE, che ha unito un consorzio di Università e enti di ricerca da tutta Europa per studiare e selezionare microrganismi in grado di biodegradare polimeri di varia natura, come il PVC*, il PS* o il PP*.  Del 2016 è la fenomenale scoperta, da parte di un team di ricercatori giapponesi, dell’Ideonella sakaiensis un batterio in grado di digerire il PET* e altre tipologie di plastiche mediante l’azione combinata di due enzimi. Nel 2017, un altro rapporto ha evidenziato il risultato di una scoperta fatta per caso: anche il bruco della tarma della cera (Galleria mellonella) mangia la plastica. Più recentemente un’equipe di scienziati tedeschi di Lipsia ha dato un altro grande contributo alla causa isolando lo Pseudomonas sp. TDA1, un batterio che si è dimostrato capace di metabolizzare anche plastiche difficili come il poliuretano*.

scienziate ungheresi

Liz Madaras e Krisztina Lévay, le due scienziate ungheresi autrici della scoperta

Sulla scia di queste scoperte pionieristiche, le due giovani scienziate ungheresi hanno unito i loro studi di biotecnologia e ingegneria chimica per studiare un procedimento al 100% organico in gradi di restituire la plastica al ciclo naturale. Così, dopo due anni di ricerche “nel tempo libero”, hanno messo a punto delle speciali miscele di batteri, le cui ricette sono al momento segrete, in grado di disintegrare senza necessità di ulteriori trattamenti chimici ogni tipo di plastica, e hanno sperimentato il metodo con successo su usa e getta, plastiche per gli imballaggi, miste…

Gli esperimenti condotti in laboratorio mostrano come questi “cocktail” di germi dissolvono completamente la plastica nel giro 6-8 settimane, con un processo che assomiglia, per usare le parole di una delle scienziate, a quello di una foglia che scompare nell’autunno. Di fatto la plastica, secondo il principio ideato dalle studiose, viene riassorbita in natura, tornando alle sue origini di fossile.

Si rimane in attesa di sviluppi, al momento l’innovativo studio ha già attirato l’attenzione della comunità scientifica, oltre all’interesse di molteplici donatori – tra cui Techstars e Vespucci Partners – intenzionati a finanziare i necessari test di laboratorio per valutare l’applicabilità della scoperta su più vasta scala. Se il metodo dovesse rivelarsi efficace e quindi diffondersi su scala globale, potrebbe certamente rappresentare un importante passo in avanti verso una soluzione definitiva a uno dei maggiori problemi della terra su cui viviamo: per un futuro più pulito, più sostenibile, più libero.

 

Abbreviazioni:

*cloruro di polivinile (PVC): è la plastica più diffusa, la si trova in finestre e serramenti, calzature, tappezzerie e oggetti domestici di uso comune, rivestimenti di fili elettrici, giocattoli.

*Polistirene (PS): materiale usato per piatti e bicchieri di plastica, giocattoli, rivestimenti e imballaggi, oggetti di arredo.

*Polipropilene (PP): una plastica usata in l’edilizia o per oggetti di uso domestico (scolapasta, tappi, contenitori per CD) ma anche nella costruzione di elettrodomestici, nel tessile o per imballaggi.

*polietilene tereftalato (PET): il polimero più utilizzato per creare bottiglie e buste di plastica, contenitori domestici da frigo o da forno, isolante per cavi, superficie interna di contenitori domestici…

*poliuretano* (PU): plastica flessibile o rigida tra le più difficili da smaltire: usata in molti settori, dai rivestimenti termoisolanti delle case fino a suole delle scarpe e materassi.



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Foto: Benfante, Youtube, La Repubblica