Judit Ember é stata una regista e giornalista ungherese, personalità controversa nella società contemporanea: una donna capace di aprirsi strade in ambienti, come la regia cinematografica, ostici e sottoposti al controllo del regime socialista, diventando la regista più censurata in Ungheria.

Di origini ebraiche, si salvò per caso dalla deportazione ad Auschwitz, il suo treno infatti subì un deragliamento, ma parte della sua famiglia, come il padre, perì durante l’Olocausto. Dopo essersi laureata in Storia Ungherese all’univeristá ELTE, ha proseguito gli studi in cinematografia presso l’Accademia di Arte Drammatica e del Cinema, alunna del celebre regista Herskó János.

Fu tra le avanguardie del cinema indipendente ungherese, infatti nel 1988 partecipó alla fondazione della Fekete Doboz (in italiano scatola nera, dal colore delle videocassette) collettivo di artisti che attraverso i loro lavori raccontavano i temi più scottanti del periodo, partecipando e documentando gli eventi culturali e politici del Paese, dando voce a chi era escluso dalle narrazioni dei media controllati dallo Stato.

Fekete Doboz

Fekete Doboz

Discostandosi dalla sperimentazione tra i generi, Ember Judit raccontava la realtà partendo dai temi, con attori presi dalla strada per interpretare le contraddizioni e le inquietudini dell’epoca, in una commistione di arte e analisi sociologica che la resero pioniera nel genere documentaristico in Ungheria, le cui preziose testimonianze sono state a lungo censurate dell’autocrazia di Kádár.

Mediante l’enfasi della mimica dei corpi e delle espressioni dei volti degli interpreti, i fotogrammi si arricchivano di una carica carica emotiva forte a tal punto da andare oltre la semplice performance artistica, lasciando lo spettatore spiazzato ad interrogarsi sui temi in questione.

Nel suo unico lungometraggio risalente al 1978 dal titolo Fagyöngyök (in italiano Vischio) vengono scandagliati i segreti di una famiglia in apparenza normale intrappolata in dinamiche familiari disfunzionali. Nel documentario situazionista  A Határozat (La Decisione), in collaborazione con il collega Gyula Rich, i registi e i cameramen filmavano gli eventi commentando a braccio, discutendo sulle riforme economiche dei primi anni ‘70 che mettevano in contrapposizione democrazia e profitto dei privati e che le valse il titolo di uno dei 100 documentari migliori di tutti i tempi da parte dell’american Film Institute di Los Angeles.

La cultura popolare era una parte molto importante della sua produzione artistica: il film Pipás Pista és társai del 1983 prende le mosse da una vicenda, a metà tra realtà e leggenda, che affonda le sue radici nell’Ungheria rurale del passato e parla di una  donna con un forte lato oscuro, che fu una dei più efferati serial killer ungheresi. Si dice infatti, che Pipás Pista, in origine Viktória Fődi, fosse una ragazza di campagna vissuta nel Primo Dopoguerra, e che dopo una vita di abusi e violenze, decise di riscattarsi assumendo un’identitá maschile, al fine di proteggere le altre donne dei villaggi vicini dalle violenze dei mariti, cercando di dare loro una spinta verso l’indipendenza.

Pipás Pista

Pipás Pista – vignetta

Se i suoi fini erano nobili, i suoi modi lo erano decisamente meno: con il nome di Pisti, viveva da sola come un uomo nella fattoria ereditata dai genitori, passando il tempo a fumare la pipa, passatempo prettamente maschile che le valse il soprannome di “Pipás”, pronta ad offrire aiuto a tutte le donne in difficoltá, uccidendo centinaia di uomini infedeli, violenti, o semplicemente “di troppo”. L’omonimo documentario di Judit Ember racconta con crudezza e semplicitá di come durante il primo conflitto mondiale le donne, lasciate a casa dai mariti al fronte, dovettero per la prima volta fronteggiarsi con un contesto diverso, assumendo ruoli maschili per sentirsi al sicuro e prendendo coscienza delle violenze subite in passato. Vedevano in Pipás Pista una figura salvifica, con l’amara consapevolezza, d’altro canto, che solo mettendo in discussione il proprio genere femminile in favore di quello maschile si poteva conquistare l’emancipazione, non senza violenza.

Nonostante il bavaglio dei media, nel 1989 vinse il prestigioso premio Balázs Béla, in riconoscimento del suo impegno creativo nella regia, inoltre dal 2008 l’Hungarian Film Festival ha istituito il “Premio Ember Judit” nella categoria di migliore documentario.

targa

La targa commemorativa di Ember Judit affissa nel 2016 nel XIII Distretto in Karikás Frigyes utca.

Anche la città di Budapest ha deciso di onorare la sua memoria nel 2007, inaugurando una targa commemorativa presso la sua abitazione nel XIII distretto.

Dopo essersi spenta nello stesso anno, i suoi resti riposano nel Cimitero Ebraico della Capitale. Le sue opere possono essere consultabili presso l’Open Society Archive.

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