Vittoria ungherese-polacca” ha titolato il Magyar Nemzet, “Lo sbarco in Normandia ha avuto successo” e ancora “Potete mettere lo spumante in frigo” sono state le parole con cui il Orbán ha salutato l’accordo raggiunto a Bruxelles. Ma anche tra i critici si sottolinea la buona performance di Budapest: “Ancora una volta l’Europa si piega a Orbán” titola Angela Mauro sull’Huffingtonpost.

UE: UNA STORIA DI COMPROMESSI

Al Consiglio europeo del 10-11 dicembre si è raggiunto un compromesso. Il testo del bilancio è rimasto uguale, sono state aggiunte però alcune pagine per una dichiarazione interpretativa del testo richieste da Ungheria e Polonia. Così i due paesi hanno tolto il veto e il bilancio 2021-2027 è stato approvato con un sospiro di sollievo da tutti gli Stati europei.

L’UE ci ha abituato ai compromessi (ad esclusione del caso Grecia e per ora della Brexit). Troppo importante per il continente l’approvazione di un pacchetto che raggiunge i 1.800 miliardi di euro per rilanciare l’economia. La presidenza tedesca si è fatta garante dell’accordo ed ha riportato nell’ovile i due paesi riottosi.

Nelle giornate precedenti le voci di possibili rotture erano risuonate più per spaventare l’avversario nel gioco delle trattative che per reali intenzioni di rottura. Chi proponeva una UE a 25, chi rilanciava l’impossibilita di cedere sovranità su temi quali migranti e identità nazionale.

COSA PREVEDE LA DICHIARAZIONE AGGIUNTA AL TESTO

Ungheria e Polonia hanno chiesto di aggiungere una dichiarazione interpretativa al testo del bilancio. Brevemente questa prevede:

  1. le sanzioni potranno essere applicate solo per violazioni dello “Stato di diritto” su temi finanziari. Vengono esclusi quindi temi politici e soprattutto questioni riguardanti la politica verso i  migranti e il diritto di famiglia.
  2. Confermato il meccanismo di “freno di emergenza”. La proposta di sanzioni può essere quindi sottoposta ai Capi di Stato e di Governo.
  3. Le linee guida di accettazione verranno pubblicate e accettate solo dopo il parere della Corte di Giustizia Europea su eventuali ricorsi prodotti (Ungheria e Polonia con tutta probabilità presenteranno ricorso).

In pratica la questione dello “stato di diritto” viene accettata ma riguarderà solo temi economici. Ma soprattutto le tempistiche di attuazione partiranno probabilmente dal 2022, quindi Ungheria e Polonia hanno guadagnato tempo, anche se potranno essere analizzate le violazioni intercorse dal primo gennaio 2021. 

LE REAZIONI IN UNGHERIA

La maggior parte delle stampa e degli attori politici ha evidenziato la capacità di Orbán di uscire da una situazione di difficoltà con un risultato positivo. A parte la stampa “fedele” al premier anche tra i media d’opposizione si riconosce, almeno in parte, una vittoria del premier ungherese nelle trattative. 

L’unico partito in Ungheria a parlare di “sconfitta per Orbán” è DK (Coalizione democratica) che sottolinea come il premier ungherese sia dovuto sottostare al volere dei 25, abbia sostanzialmente tolto il veto senza modificare il testo di bilancio e di come debba sottostare per l’utilizzo del fondi alle regole europee. 

“Orbán esce vincitore, perchè potrà prepararsi indisturbato alle elezioni del 2022”

UngheriaNews ha chiesto un commento su questi importanti eventi politici allo storico Stefano Bottoni, professore dell’Università di Firenze e autore del libro “Orbán. Un despota in Europa“.

UE e Ungheria hanno trovato un compromesso. Ma è veramente una vittoria di Orbán il risultato ottenuto a Bruxelles?

Da sempre gli accordi in sede europea sono aperti alle più diverse interpretazioni. Il primo ministro ungherese ha guadagnato tempo; secondo alcuni calcoli, fino a due anni, in quanto il meccanismo sanzionatorio potrà attivarsi solo dopo il verdetto della Corte Europea di Giusitizia. Bisogna anche osservare che il nuovo accordo ha ristretto l’ambito delle materie esaminabili ai danni erariali effettivamente arrecati alla UE e ha escluso ogni applicazione retroattiva, relativa quindi al ciclo di bilancio 2014-20, durante il quale l’OLAF (l’Ufficio europeo antifrode) aveva ripetutamente denunciato la corruzione sistemica negli appalti pubblici. Sul breve periodo Orbán esce vincitore, perchè potrà prepararsi indisturbato alle elezioni del 2022. Sul lungo periodo la situazione è invece più complessa. Il Parlamento Europeo, forse per la prima volta, ha costretto il Consiglio Europeo alla difensiva su un tema cruciale come quello dello Stato di diritto, strappando l’approvazione di un meccanismo che nel prossimo decennio potrebbe condizionare pesantemente gli equilibri interni nell’Unione.

Le elezioni sono nel 2022 ma lo scontro si sta già facendo intenso in Ungheria. Quali sono le conseguenze di questa lotta con Bruxelles? Il consenso elettorale verso il Fidesz è rimasto immutato?

Più che lo scontro con Bruxelles, peraltro appianato dopo mesi di tensioni, sulla politica interna ungherese e le strategie del governo Orbán potrebbe influire l’andamento negativo della pandemia durante la seconda ondata iniziata in settembre. Interi settori dell’economia sono fermi da mesi, mentre la situazione epidemiologica non accenna a migliorare. L’istituto di sondaggi Zavecz Research osserva che negli ultimi quattro mesi Fidesz ha perso sei punti percentuali (da 36 a 30) fra i votanti sicuri della preferenza politica e una decina, da oltre il 50% al 45% fra il totale dei potenziali elettori. Si tratta ancora di un consenso molto elevato ma nel corso del lungo inverno la situazione economica e sociale giungerà a un punto critico. Orbán e i suoi sanno perfettamente di avere assai più bisogno ora che in primavera dei fondi di ristoro europei. Resta da vedere quanto questo riconoscimento pragmatico modificherà la retorica politica ad uso interno.



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