Il veto ungherese uno schiaffo in faccia a Berlino

Quest’estate i media del mondo raccontavano di una difficilissima trattativa conclusasi con un compromesso per salvare l’UE. Compromesso trovato in luglio, compromesso dalle grandi aspettative. Pochi mesi dopo però salta tutto. Ungheria e Polonia pongono il veto dopo l’inserimento di precise clausole che consentono l’arrivo dei fondi solo ai paesi che rispettano lo “stato di diritto”. Il veto rende vano un lungo processo di mediazione portato avanti dalla Germania, presidente di turno. 

Lo stop al bilancio settennale, l’accordo di luglio (recovery fund) comprendeva 750 miliardi di euro che nel pacchetto complessivo arrivavano a 1.800 miliardi, mette soprattutto a rischio la tenuta economica e quindi politica della UE colpita a fondo dalla pandemia ma anche da tensioni interne (brexit).

Il veto ungherese-polacco, uno strumento di opposizione politica forte e per ora mai utilizzato da altri paesi, anche se minacciato da numerosi (ad esempio l’Italia nel 2012), ha rappresentato un vero e proprio schiaffo in faccia soprattutto a Berlino che tanto aveva faticato. Alla rabbia di Berlino fa da contraltare la soddisfazione dei Frugali, i veri vincitori per ora, che erano restii all’accordo economico e che sostenevano l’introduzione di restrizioni legate allo “stato di diritto”. 

Il veto è sintomo però anche di una più grande sensibilità di questi paesi alla perdita della sovranità nazionale. La storia del Novecento di Budapest e Varsavia è diversa da quella dei paesi occidentali. Una storia complessa che influisce in maniera determinate nelle scelte politiche della classe dirigente. Nei media ungheresi ha preso sempre più piede la paura che con “lo stato di diritto” l’UE si arroghi poi il potere di decidere se aprire o no i confini di questi paesi anche ai “migranti”. 

Una UE sottomessa all’asse Berlino-Parigi

L’UE non può permettersi ulteriori ritardi. Il continente è in una crisi evidente. L’economia è ferma, la brexit ha inciso sul processo di unificazione.

Di pari passo è cambiata l’UE, un processo lento che ha subito un’evidente accellerazione verso “l’asse di dominio” Berlino-Parigi, ma soprattutto Berlino. Intorno a questo asse si muovo gli interessi dell’Europa e degli altri paesi. I paesi del sud, ridotti a paesi mendicanti che aspettano contributi determinanti per la propria”sopravvivenza” e che pertanto sono disposti quasi a tutto. I paesi del centro-est (in particolare V4) che grazie ai contributi, e all’integrazione, hanno potuto creare uno sviluppo economico capace di formare borghesie nazionali più stabili e forti del passato, ma anche fortemente legate politicamente ed economica al proprio governo che questi fondi li riceve e li distribuisce. 

Stato di diritto e diritti umani, forma e sostanza

Il tema centrale di questi giorni è il mancato rispetto dello “stato di diritto” in alcuni paesi. “Stato di diritto” che nei media si è trasformato presto in “diritti umani”. L’accusa è semplice Ungheria e Polonia non rispettano i diritti umani e quindi non possono ricevere finanziamenti. Un’accusa forte fortissima. 

La questione in realtà è molto più complessa. Ungheria e Polonia sono state fortemente criticate e giudicate dagli organismi preposti nell’UE, ma ad ora nessun trattato legava l’idea di “stato di diritto” al finanziamento dei fondi. Tanto è vero che anche la discussione giuridica e politica sulla definizione di “stato di diritto” è ampia e non conclusa, ma soprattutto non vi è un protocollo preposto a valutare chi rispetta e chi no una definizione così ampia. 

Ungheria e Polonia hanno sicuramente, è sotto gli occhi di tutti, peggiorato i propri standard democratici negli ultimi anni. L’equilibrio tra i poteri, la corruzione e la libertà di stampa sono chiaramente in difficoltà. La sostanza non può essere messa in discussione. Ma per un provvedimento così forte, quale l’esclusione da un bilancio settennale che metterebbe alla porta i due paesi, anche la forma acquista un’importanza non irrilevante, altrimenti questo stesso strumento di esclusione potrebbe a sua volta diventare strumento di interferenza politica per favorire i propri amici/alleati a discapito dei nemici. Non è un segreto che in Europa ci siano paesi con prigionieri politici, che ci siano deputati al parlamento europeo fuggitivi dai propri paesi della UE, che ci siano paesi con un alto grado di corruzione, che ci siano paesi che hanno intrapreso attività militari contro Stati sovrani e che alcuni abbiano intrapreso a loro volta derive securitarie

L’importanza dello stato di diritto e dei diritti umani (e sarebbe da aggiungere anche quelli sociali in una crisi così ampia) è centrale e proprio per questo non può essere risolta come una semplice punizione verso due paesi restii ad adattarsi alle direttive politiche del centro, ma deve riguardare tutti i paesi. Una conferenza ad hoc con strumenti e leggi ad hoc per difendere questi diritti imprescindibili. Un’utopia che mai troverà terreno in questa UE. Proprio perchè non è nell’interesse dell’UE.

Polonia, l’alleato dell’Ungheria pronto a fare un passo indietro?

L’Ungheria ha trovato nella Polonia l’alleato storico. Il governo di Varsavia si è schierato con Budapest, non è la prima volta, i due governi rappresentano l’ala sovranista dei paesi del gruppo di Visegrad. Ma fino a che punto la Polonia sarà in grado di seguire l’Ungheria? La Polonia ha un’economia la cui integrazione dello spazio europeo, e soprattutto tedesco, è fondamentale. In Polonia inoltre la situazione politica è differente che a Budapest, un governo di coalizione, istituzioni differenti, autonomie amministrative, tutte cose che rendono molto più difficile una lotta all’ultimo respiro con la UE. E proprio gli ultimi giorni, nonostante le dichiarazioni ufficiali del governo polacco, da più parti si parla di una possibile moderazione polacca alla ricerca di un compromesso con Bruxelles. I prossimi giorni diranno quando l’alleato magiaro è disponibile ad andare avanti, perchè nel caso la Polonia si ritirasse per l’Ungheria le cose si complicherebbero non poco.

Lotta politica e scandali sessuali

In tutta questa crisi economica, politica, istituzionale del continente europeo si inserisce una “gang bang” organizzata a Bruxelles. Lo scandalo che ha riguardato Szájer, politico ungherese, è diventata la notizia della settimana in tutta Europa. Sicuramente uno scandalo che ha scalfito l’immagine creata dal Fidesz in patria di difensore di identità e famiglia tradizionale e cristiana. Uno scandalo che arriva però al momento giusto al posto giusto. Uno scandalo che è stato chiaramente utilizzato dai media europei per farne un macigno contro il governo ungherese, un mezzo di pressione e un avvertimento neanche tanto velato. Alla faccia dei diritti delle persone. Nello scontro politico ed economico tra Ungheria e UE Szájer è il sacrificato.

Il 10 dicembre la decisione

Che cosa succederà in UE? Lo sapremo il 10-11 dicembre quando si riunirà il Consiglio europeo che deciderà le misure da prendere per il bilancio 2021-2027. Di certo i rapporti di forza non sono a favore dell’Ungheria. La crisi economica della UE necessita di un forte piano economico. Berlino non può permettersi che il processo di “unificazione” venga fermato. Il reale peso di Orbán nella UE è quasi nullo, a parte il sostegno scontato della Polonia, e una dichiarazione più di facciata dell’amico sloveno, non sussistono ad oggi alleati. E anche gli alleati esteri si sono ridotti (Trump).

Orbán l’ha fatta fuori dal vaso?

La situazione che emerge è quella di un Viktor Orbán che dopo anni in cui ha potuto ergersi a figura di riferimento dello schieramento sovranista europeo, uomo forte e quasi imbattibile oggi si trovi in un “cul de sac” . Un ruolo che è cresciuto fin troppo portando il leader ungherese a scontrarsi direttamente non solo con le istituzioni europee ma anche con il potere tedesco, da anni ormai il vero detentore del potere politico in UE. La Merkel ha inizilmente lasciato fare e dato spazio all’alleato magiaro, poi l’ha sopportato a malapena, ora sembra non sia più disponibile a rimanere a guardare. Il dado è tratto, la mossa del veto ha messo chiaramente l’Ungheria tra i problemi della Germania/UE. Il 10 dicembre si vedrà chi la spunterà, ma soprattutto se Orbán riuscirà a salvarsi la faccia (cosa ben possibile visto il pragmastimo e la capacità politica del leader magiaro) e soprattutto il premier ungherese possiede un piano B per evitare all’Ungheria la punizione da Bruxelles. La storia della UE è storia di compromessi, per quanto il momento sia difficile, non è escluso che tutti facciano un passo indietro per salvarsi la faccia, ma anche questa sembra una soluzione che può solamente rimandare un problema più grande.

 



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Foto: hungarytoday