Sono ormai giorni che si fa un gran parlare del veto sollevato da Ungheria e Polonia (con l’appoggio esterno della Slovenia) alla distribuzione dei finanziamenti previsti dal Recovery Fund votato lo scorso luglio perchè vincolati da Bruxelles al riconoscimento del c.d. Stato di Diritto. 

Cosa sta realmente succedendo a Bruxelles?

A titolo di riepilogo, lo scorso 16 novembre gli ambasciatori di Polonia e Ungheria hanno sollevato e fatto valere il veto all’accordo sul prossimo bilancio dell’Unione europea 2021-2027 facendo venir meno l’approvazione del NextGenerationEu fund, legato all’intero pacchetto di aiuti per la precisa volontà della Commissione europea. In altre parole, per noi italiani i 208,8 miliardi di euro di aiuti finanziari  pattuiti lo scorso luglio sono momentaneamente bloccati e tarderanno ad arrivare. 

Una settimana prima, il 10 novembre, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea (l’organo in cui siedono i governi dei 27 Stati membri) avevano trovato un accordo preliminare per introdurre un meccanismo che impedisse ai Paesi che non rispettano il c.d. Stato di Diritto, nella fattispecie Ungheria e Polonia, di accedere ai fondi europei comunitari perché accusati di aver approvato negli ultimi anni molte leggi che limitano l’indipendenza della magistratura, dei media, ed il rispetto dei diritti civili. 

Tecnicamente però, il veto di Polonia e Ungheria è stato attivato in un organo comunitario minore, il c.d. Coreper, ossia il Comitato dei Rappresentanti Permanenti che riunisce i capi o vice-capi delegazione degli stati membri presso l’Unione europea. In buona sostanza, a dare il veto non sono stati i premier Viktor Orbàn e Mateusz Morawiecki ma i loro rispettivi ambasciatori. Questo lascia aperta la possibilità di trovare uno sperato accordo discutendo ed affrontando la cosa ad un livello superiore, quello del Consiglio Europeo che riunisce 27 leader degli Stati membri fatto apposta per trovare compromessi, i più disparati, e risolvere cosi l’attuale crisi nella sua prossima convocazione fissata per il 10 dicembre.

Compromesso possibile, lavora il “tempo”

La questione che tutti si pongono è come uscire da questa situazione di stallo. L’ipotesi più plausibile è rappresentata dal c.d. “Metodo Merkel” giustificato non solo dai precedenti successi riferiti alla riconosciuta abilità diplomatica della Cancelliera amburghese ma anche dal fatto che la Germania gestisce ora la presidenza semestrale dell’Eurogruppo: aspettare e lasciare che il tempo, suo più forte alleato di sempre, produca i suoi effetti cosi com’è accaduto l’estate scorsa quando è riuscita ad ammorbidire la posizione dei cinque Stati frugali (Paesi Bassi, Austria, Svezia, Finlandia e Danimarca) che rischiavano di far saltare il NextGenerationEu. Aspettare e far raffreddare gli animi. Con il passare del tempo infatti sono aumentate le dichiarazioni dei leader politici che hanno invitato Orbàn e Morawiecki a più miti consigli. 

A molti osservatori, incluso il sottoscritto, è comunque apparso evidente come il tentativo di Bruxelles di condizionare la corresponsione dei fondi ad Ungheria e Polonia all’applicazione dell’art. 7 che impone agli stati membri il rispetto dello Stato di Diritto sia palesemente goffo ed inappropriato perchè sostanzialmente applicato fuori luogo e fuori sede.

L’agitare e brandire arbitrariamente ad hoc secondo criteri e scelte politiche manifestamente di parte l’art. 7 come deterrente psicologico con scopi sanzionatori ogni qualvolta Bruxelles ravvisi una non conformità ai pricipii base regolatori della convivenza comune nella casa Europea, produce più effetti negativi che positivi, rafforzando l’impressione nei paesi oggetto del provvedimento di trovarsi di fronte a politiche discriminatorie tendenti ad allargare le presunte differenze esistenti tra paesi membri “occidentali” ed “orientali”.

Il rispetto dello Stato di Diritto è certamente questione fondante e fondamentale all’interno dell’Unione e come tale dovrebbe e deve essere trattata, vale a dire all’interno di una dedicata piattaforma di discussione separata e a se stante che coinvolga ad un tempo tutti i 27 Paesi Membri sulla base di valutazioni di carattere giuridico in primis (sostanziale e formale) e politico in secundis, senza eccezione alcuna e senza l’applicazione di doppi standard e parametri di giudizio, tenendo bene a mente che non si tratta di emettere ed assegnare certificati di buona condotta o di qualita ISO 9001 né tantomeno certificati di democrazia a denominazione DOC o DOCGP. 



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Foto: investireoggi