Politicamente parlando il recentissimo accordo raggiunto a Bruxelles sul Fondo per la Ripresa e l’approvazione del budget 2021-2027  è stato accolto come un successo generale che coinvolge tutti, dai paesi coinvolti ai loro rappresentanti politici in seno alla trattativa passando per le istituzioni europee (Commissione e Consiglio) e le rispettive cariche istituzionali. Due protagonisti di queste trattative sono stati il premier olandese Rutte e il primo ministro ungherese Orbán. Personalità che si sono scontrate duramente durante il vertice ma che in realtà potrebbero avere numerosi interessi in comune.

Recovery fund: tutti vincitori?

Ogni primo ministro presente è tornato a casa accolto come un vincitore rafforzando la propria immagine e quella del governo che presiede. Unico indiscusso perdente: la Gran Bretagna che con la sua forzata uscita dalla compagine europea si è ritrovata fuori da logiche e criteri distributivi senza ricevere un solo Euro e con il conto della Brexit ancora da versare nelle casse di Bruxelles.

E’ stato sicuramente un successo per l’asse Macron-Merkel che vanta la paternità della proposta iniziale d’accordo. La Cancelliera ha avuto altresì la possibilità di suggellare con un indiscusso successo personale la sua già annunciata uscita dalla scena politica: la ciliegina sulla torta di una carriera ai massimi vertici della gestione pubblica tra le più lunghe e positive che la storia ricordi e riporti.

Lo è stato per l’Olanda e il suo determinato ancorché ostico primo ministro Mark Rutte per aver condizionato nel bene e nel male l’intero andamento del vertice facendosi portatore e rappresentante riconosciuto degli interessi dei paesi nordici, i paesi “Frugal 5” (Olanda, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia) restii a concedere sussidi in misura eccessiva ai grandi paesi mediterranei colpevoli a loro giudizio di decennali politiche di incremento incontrollato del debito pubblico. Risultato politico estremamente rilevante.

Ed in tal senso Rutte è riuscito altresi nell’intento pratico di ridurre la quota originaria destinata ai sussidi a fondo perduto trasferendone una parte nel conto prestiti a debito, ad ottenere uno sconto (Rebate) sul totale delle contribuzioni a carico dei Frugali 5 nel corso del prossimo settennato e a far approvare un ‘Super Freno di Emergenza’ regolato nella governance del Recovery Fund: i paesi beneficiari delle risorse Ue dovranno cioè rispettare le raccomandazioni specifiche per paese della Commissione che valuterà i piani nazionali di riforma. In caso di dubbi su tale rispetto, uno Stato membro potrà bloccare la decisione di sborsare i fondi (Diritto di veto) deferendo la questione al Consiglio Europeo, dove i capi di Stato e di governo decidono per consenso. Le parole ‘veto’ e  ‘unanimità’ non compaiono. Ma nella sostanza è così, anche se poi la storia insegna che raramente questi meccanismi vengono utilizzati. Per Conte e Sanchez poi sono stati archi di trionfo, accolti in patria come Scipione l’Africano di ritorno da Cartagine. Conte in particolare ha potuto sbandierare I quasi 209 miliardi ricevuti che dovrebbero permettere di far ripartire l’inceppata macchina Italiana semprechè sia capace di presentare in tempo i progetti richiesti come condizione per l’assegnazione dei fondi.

Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

Il ruolo di Orbán a Bruxelles

Lo stesso dicasi per Orbán di ritorno a Budapest dove ha potuto gettare sul tavolo domestico una consistente manciata di miliardi aggiuntivi rispetto ai calcoli fatti nel pre-vertice. Da notare che rispetto all’Italia l’Ungheria si è recata a Bruxelles focalizzata più sulle proprie richieste da includere nel Budget Settennale che sui risultati da ottenere con il Recovery Fund.

Vero e proprio Giano Bifronte, Orbán sa adattare con grande abilità il proprio linguaggio ed atteggiamento politico a seconda che si trovi aldiqua o aldilà del Leitha. Il suo battibecco a distanza con l’omologo olandese sulla presunta attribuzione delle colpe relative alla prolungata impasse negoziale ha attirato l’attenzione della stampa internazionale che gli ha dedicato un’attenzione a livelli forse mai toccati finora. Interviste e riflettori puntati dunque e non necessariamente con quella luce negativa che aveva finora caratterizzato ogni presa d’attenzione nei suoi confronti.

Ne è cosi uscito un Orbán pragmatico, misurato, “correct & polite” nel gestire il confronto dialettico a distanza con Rutte, ma anche fermo, compassato e risoluto nell’ottenere quanto pianificato riuscendo a respingere i tentativi promossi contro Ungheria e Polonia di legare la corresponsione dei fondi alla soddisfazione di pretese legate all’implementazione dello stato di diritto nel proprio paese e a limitare l’operatività di quello che è comunemente conosciuto come ‘Procedimento ex Art.7’.

La stampa ed una parte della politica italiana non hanno esitato a rilevare come nel corso della negoziazione Orbán fosse da considerare come un sostanziale alleato delle posizioni italiane. Ciò è vero, ma solo in parte: vale a dire nella misura in cui entrambi si sono schierati contro la rigidità delle posizioni contabili-finanziarie olandesi. Per il resto Orbán è rimasto distante dall’Italia se è vero che in una recente intervista a Radio Kossuth ha paventato la possibilità che alcuni paesi del Sud Europa a seguito della crisi causata dal COVID  potrebbero vedere il rapporto PIL/Debito aumentare a percentuali  del 150/160% rilevando nel contempo come per contro il suo governo si sia impegnato a mantenere il debito ungherese entro una percentuale che oscilla tra l’80/85%. Chi ha orecchie per intendere intenda.

Europa centro-orientale e paesi del nord: nemici o futuri alleati?

Al vertice Orbán è comunque apparso leader sicuro ed indiscusso dei V4 che il binomio Macron-Merkel ha cercato far apparire in contrapposizione ideologica ai Frugal 5 quando invece tra i due Gruppi esistono convergenze e somiglianze tali da consigliare sviluppi diplomatici volti a forgiare future alleanze capaci di sparigliare gli attuali equilibri di potere in seno all’Unione e portare “aria nuova in cucina”. Mossi da ragioni differenti, appaiono accomunati dal desiderio di veder riconosciute le proprie legittime aspettative per un maggior peso in seno all’Unione ed un piede fermo nella stanza dei bottoni per implementare politiche innovative atte al rilancio effettivo di un’Europa  che da tempo va segnando il passo.

Rutte dal canto suo, intelligente e preparato, non ha capito che aldilà delle divergenze ideologiche, il presunto ‘nemico’ Orbán è in realta’ fatto della sua stessa pasta. Sono entrambi Calvinisti e per questo hanno punti in comune, entrambi pervasi da quei principii moral-spirituali che il Calvinismo seppe instillare nelle classi medie permettendo loro di di costruire un nuovo ordine che dipendeva dalla laboriosità individuale unita ad un’etica rigorosa piuttosto che dalla condizione sociale ereditata dalla nascita.

Ma mentre il Calvinismo olandese può essersi annacquato nel corso dei decenni diluendosi nel benessere capitalista, quello più nostrano di Orbán si è al contrario irrobustito nelle asperità del quarantennale  comunismo di sussistenza ungherese. Per certi versi Orbán oggi e’ più puritano di Rutte, più scorzoso, più duro. L’olandese dovrebbe capire che a dispetto delle apparenze, tra lui e Orbán ci sono elementi di convergenza tali da ipotizzare una futura alleanza fra i due Gruppi di paesi.

Con una popolazione complessiva di poco meno di 115 milioni l’eventuale alleanza dei nove paesi ‘minori’ potrebbe imporsi come protagonista in seno all’UE scardinando alleanze ed assi finora ritenuti egemoni ed imprescindibili. La Merkel e Macron l’hanno intuito e stanno facendo di tutto per tenere separate le due coalizioni. Laddove pero’ quella Nordica e’ una pura assimilazione di condivise visioni gestionali della finanza pubblica, quella Danubiana e’ una vera e propria organizzazione politico-istituzionale con tanto di trattato ed uffici amministrativi periferici rimanendo a tutt’oggi l’unica iniziativa politico-diplomatica di rilievo all’interno dell’UE.

 

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Foto: Pickline, Huffington Post.