Ungheria e Polonia hanno bloccato l’approvazione del fondo europeo per la ripresa perché subordinato al rispetto dello stato di diritto, un principio violato da entrambi i Paesi ma che, fino a pochi giorni fa, non si pensava sarebbe stato collegato ai nuovi fondi europei.

Secondo il parlamento europeo Polonia e Ungheria non hanno diritto ad accedere ai 750 miliardi di euro previsti come aiuto per le economie duramente colpite dal coronavirus. Per Budapest e Varsavia, questa clausola è l’ennesima mossa politica, più un ricatto che una decisione giusta.

Un budget senza precedenti e un veto senza precedenti 

Ungheria e Polonia sono da anni (l’Ungheria dal 2018, la Polonia dal 2017) accusate di aver violato i principi dello stato di diritto e a fine settembre la Commissione aveva espresso il proprio rammarico per la mancanza di progressi significativi.

L’idea di un fondo per la ripresa era emerso per la prima volta a luglio, un momento che era stato definito “storico e senza precedenti” dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Senza precedenti è anche il veto posto oggi da Ungheria e Polonia.

Dopo la decisione di introdurre un meccanismo volto a sospendere i pagamenti per gli Stati membri che non rispettano i principi dello stato di diritto, il primo ministro ungherese Viktor Orbán aveva inviato una lettera alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al presidente francese Emmanuel Macron anticipando l’intenzione di esercitare il potere di veto e sottolineando come tale clausola “mette a rischio la fiducia” fra gli Stati membri.

Dall’Europa nessuna riposta. Ed ecco che nel giorno in cui l’unanimità era non solo importante ma indispensabile per l’erogazione dei fondi a partire da gennaio, Polonia e Ungheria votano contro.

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha riconfermato la posizione del parlamento europeo, dicendo che la scelta di bloccare i fondi per i Paesi che non rispettano lo stato di diritto è fondamentale considerata l’ingente portata dei fondi stessi. D’accordo anche il primo ministro romeno Ludovic Orban per cui la clausola protegge i soldi dei contribuenti che devono essere spesi in maniera giusta ed efficace.

Potrebbe passare molto tempo prima che si raggiunga un nuovo accordo. Nel frattempo, sono migliaia le piccole imprese in attesa di aiuti economici, migliaia le persone disoccupate a seguito della crisi. Secondo l’Eurobarometro, la maggior parte dei cittadini europei teme che prima o poi il coronavirus avrà un impatto diretto sulla propria situazione finanziaria, mentre il 39% dice di aver già subito delle ingenti perdite.

Chi pagherà dunque i conti delle decisioni di Orbán e Morawiecki?

A gioire potrebbero essere i Paesi cosiddetti “Frugal 5” (Olanda, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia) che sin dall’inizio si erano detti restii a concedere sussidi in misura eccessiva ai Paesi mediterranei colpevoli a loro giudizio di decennali politiche di incremento incontrollato del debito pubblico. Quasi sembra che il primo ministro olandese Mark Rutte avesse previsto tutto. Infatti, era stato proprio lui a proporre sia un meccanismo per controllare la legittimità dei beneficiari sia la possibilità di esercitare il potere di veto e bloccare di conseguenza l’intero pacchetto di aiuti.

A farne le spese, invece, sono proprio quei Paesi che attendevano con ansia il mese di gennaio. Un pò per lasciarsi alle spalle questo nefasto 2020, un pò proprio per la promessa di nuovi fondi. In particolare, l’Italia sarebbe stato il più grande beneficiario tra gli Stati Ue ricevendo in tutto 208,8 miliardi di Euro, di cui 81,4 a fondo perduto (sussidi) e 127,4 sotto forma di prestiti (debito).

Ma non sono solo gli altri Paesi a pagarne le conseguenze, quanto gli stessi cittadini polacchi e ungheresi. Anche per loro gli scorsi mesi sono stati duri, il sistema sanitario è allo stremo, gli introiti del turismo sono praticamente inesistenti. Inoltre, basta guardarsi in giro per notare quanti progetti, vitali al funzionamento di città come Budapest e Varsavia, siano stati finanziati dai fondi europei, e quanto dunque questi ultimi possano fare la differenza. Per di più, proprio gli abitanti della Polonia e dell’Ungheria sono fra i più strenui sostenitori dell’Ue. Il 56% dei cittadini polacchi ha dichiarato di nutrire grande fiducia nell’Unione, seguiti proprio dagli ungheresi (53%), molto più dei tedeschi (48%) o francesi (30%) e di gran lunga molto più degli italiani (28%).

Adesso la pressione è tutta sulla Germania che, come presidente di turno del Consiglio dell’Ue, deve trovare un modo per uscire dall’impasse. Chi la spunterà? Bruxelles riconoscerà l’importanza del budget e modificherà le regole per l’accesso ai fondi? O sarà Orbán a fare un passo indietro e a rimettersi per una votla alle decisioni dell’Ue?

Aggiornamento: la Slovenia con Ungheria e Polonia

“Solo un organo giudiziario indipendente può dire cos’è lo Stato di diritto, non una maggioranza politica” ha scritto il premier sloveno Janez Jansa in una lettera inviata al presidente del Consiglio europeo. Riproponendo così la grande questione, quale è l’istituzione che può dire chi rispetta e chi no lo “stato di diritto”? Perchè la stessa definizione di “stato di diritto” può essere molto vaga, ma sicuramente è molto delicata. 

 



Sulla decisione del parlamento europeo di introdurre una clausola legata allo stato di diritto avevamo parlato qui.

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Foto: politico.eu