In occasione del népmese napja, la giornata della fiaba popolare ungherese, vi proponiamo la traduzione inedita di una fiaba contenuta nell’opera di Elek Benedek Magyar mese- és mondavilág (“Mondo delle fiabe e delle leggende ungheresi”, 1894-1896). Ecco a voi A lelkecskék, Le piccole anime”.

Le piccole anime di Elek Benedek 

C’era una volta una povera vedova che aveva due figlioletti. Un giorno i bambini andarono sulla sponda del fiume Hron[1] dove si divertirono a giocare, a correre di qua e di là e, ma proprio mentre giocavano, caddero nelle acque del fiume.

Di sera la povera donna attese i figlioli che ovviamente non tornarono a casa: erano annegati nel fiume Hron, le cui acque non avevano portato a galla i loro corpi. Da allora la povera vedova si recava ogni giorno sulle sponde del fiume dove camminava avanti e indietro in preda a una grande afflizione, e, piangendo, si chiedeva se mai un giorno il fiume Hron avrebbe restituito i cadaveri dei suoi figlioli. Trascorse un anno, ne trascorsero due e il fiume Hron non aveva fatto riemergere i corpicini.

Un giorno, mentre la povera vedova se ne stava in lacrime sulla sponda del fiume, una piccola anima bianca come la neve uscì in volo dalle acque e le disse:

«Zietta, nelle acque del fiume Hron vive una grande rana, ti andrebbe di farle da comare? Dio l’ha benedetta con una figlioletta».

La vedova rispose:

«Ci verrò con tutto il cuore, basta che tu, piccola anima bianca come la neve, mi conduca da lei».

Questa piccola anima bianca come la neve apparteneva a un bambino annegato.

Prima d’incamminarsi, seguita dalla vedova, la piccola anima agitò la sua piccola bacchetta sul fiume Hrom e subito le acque si separarono, permettendo loro di procedere indisturbati sul fondo asciutto. Quando furono giunti proprio nel mezzo del fiume Hron, un grande masso sbarrò loro il cammino, ma la piccola anima agitò nuovamente la piccola bacchetta, così che il masso si capovolse immediatamente e prese a rotolare, lasciando al suo posto un grande anfratto: lì abitava la rana.

Scesero nell’anfratto finché giunsero alla casa della rana che proprio in quel momento stava cullando la figlioletta, canticchiando una ninna-nanna: brekekekex koax koax[2]. La vedova prese in braccio la figliola della rana e, sebbene ne provasse ripugnanza, la accarezzò, le sussurrò tenere paroline e le diede perfino un bacino. Allora la rana disse alla vedova:

«Mia cara vedova, ti ringrazio per aver accettato di farmi da comare; ora ti chiedo di rassettarmi la casa, ma bada di non gettare la spazzatura, bensì raccoglila con cura e portatela a casa. Nella terza stanza ci sono un mucchio di pentole verdi, tutte quante chiuse con il coperchio: queste non le dovrai toccare».

La vedova giurò e la comare rana si sdraiò, addormentandosi subito. La vedova entrò nella terza stanza dove tutt’intorno c’erano mensole piene di pentole di ogni sorta.

Mio Dio, mio Dio, rifletteva tra sé la vedova, cosa mai possono contenere?

Non riuscì a trattenersi dal sollevare il coperchio di almeno una delle pentole per gettarvi un’occhiata. Ebbene, Signore che hai creato i cieli e la Terra, non appena ebbe sollevato il coperchio uscì in volo una piccola anima bianca come la neve che le disse:

«Il buon Dio ti renda merito per avermi liberato», e detto ciò si allontanò in volo.

Di certo ora non si sarebbe più trattenuta dal guardare dentro le pentole! Sollevò i coperchi uno dopo l’altro e veramente da ogni pentola uscì in volo una piccola anima[3] che le diceva con un filo di voce:

«Il buon Dio ti renda merito per avermi liberato», e una dopo l’altra le piccole anime scomparivano dalla casa della rana.

La vedova non vedeva altre pentole, ma proprio quando stava per uscire dalla stanza, adocchiò all’angolo della porta due pignatte tra loro identiche.

«Oh, mio caro Dio,» sospirò la vedova, «chissà se dentro queste due pentole ci sono le anime dei miei due figlioletti!»

Sollevò anche questi due coperchi e dalle pentole uscirono in volo le due piccole anime che le dissero all’unisono:

«Madre adorata, anima mia, il buon Dio ti renda merito per avermi liberato!».

«Oh, figli miei, ma come siete capitati qui?», chiese la vedova.

Le piccole anime risposero:

«Madre adorata, successe che quando annegammo, la rana catturò le nostre anime e per non farci giungere in paradiso, ci rinchiuse qui dentro, affinché la servissimo! Il fiume Hron non restituirà i nostri corpi annegati fino a quando le nostre anime non saranno giunte in paradiso».

Dio mio, come ne fu felice la vedova! Rimise le piccole anime nelle pentole, le nascose sotto il grembiule e, congedatasi dalla rana, si avviò verso casa. Quando uscì dalla casa della rana, non trovò la piccola anima che l’aveva condotta fin lì, ma le acque si separarono ugualmente, perché due pesciolini bianchi come la neve la precedevano a nuoto, fendendo e dividendo in due le acque.

La vedova risalì sulle sponde del fiume Hron dove sollevò il coperchio delle due pentole, le piccole anime uscirono in volo ed ecco che in quell’istante le acque restituirono i loro corpi morti. Le piccole anime rientrarono nei rispettivi corpi che ripresero vita. Quando giunsero a casa accadde un’ulteriore meraviglia: la spazzatura che la vedova aveva portato con sé dalla casa della rana si era trasformata in oro e in argento. I loro occhi non conobbero più la povertà e da quel momento vissero in grande felicità.

 

Traduzione di Elisa Zanchetta

[1] Garam in ungherese, affluente di sinistra del Danubio., è il secondo più per lunghezza della Slovacchia.

[2] La traduzione riprende il verso di Le rane di Aristofane («βρεκεκεκέξ κοάξ κοάξ»).

[3] Una leggenda narra che sul fondale del fiume Moldava risiede il vodník che imprigiona le anime degli annegati sotto delle tazzine capovolte (Giansanti ~ Gatti 2016, p. 8)



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Foto: erzsebettaborok.hu