László Krasznahorkai è un romanziere e sceneggiatore ungherese. Noto per i romanzi criticamente difficili ed esigenti, spesso etichettati come postmoderni, con temi distopici cupi e malinconici.  Ha collaborato spesso con il regista Béla Tarr. Le armonie di Werckmeister (2000) è  un film riadattato proprio dal romanzo di L.K. Melancolia della resistenza (1989). Il romanzo ha raccolto anche gli elogi di Imre Kertész, W.G. Sebald e Susan Sontag. Krasznahorkai è stato insignito di numerosi premi letterari, tra cui il più alto riconoscimento dello stato ungherese, il Premio Kossuth e il Man Booker International Prize 2015 per la sua opera tradotta in inglese.

Melancolia della resistenza (1989)

Melancolia della resistenza (Az ellenállás melankóliája) è ordinato in tre parti e racconta delle possibilità e dei limiti della rivoluzione. È ipnotico, di devastante squallore, lento e infido. Crea un senso strisciante di fredda paura e catastrofe imminente. Potente e surreale, nella tradizione di Gogol, racconta gli eventi caotici che circondano la comparsa in piena notte di un circo sotto i cupi cieli invernali di una piccola e anonima cittadina ungherese in decadenza, dove l’unico colore presente sembra essere il grigio. Una fitta nebbia indugia all’alba, i gatti randagi miagolano nei vicoli squallidi, la spazzatura è congelata al suolo e i tristi cittadini trascinano i loro corpi stanchi su veicoli che marciscono per le strade.

L’arrivo del circo

L’arrivo del circo è preceduto dal materializzarsi di una schiera di misteriose figure che aspettano, mute, nella piazza del paese in piccoli manipoli. Lo sgangherato fenomeno tanto atteso in realtà consiste solo di una gigante balena impagliata, conservata in un rimorchio, e di un misterioso individuo deforme detto “Il Principe”, ritenuto l’invisibile responsabile dei sinistri eventi che cominciano a verificarsi. Ben presto si diffonde la voce che la città stia per essere messa a ferro e fuoco e le persone, terrorizzate, rischiano di sottomettersi a un grottesco Movimento per la Pulizia e l’Ordine, pur di sfuggire all’apocalisse provinciale che credono li aspetti.

La balena di Melville e l’Idiota di Dostoevskij

melancolia della resistenzaSu questo scenario si staglia una galleria di personaggi indimenticabili, tra cui spiccano la crudele signora Eszter e Valuska. La prima, calcolatrice e arrivista, approfitta della situazione per tramare la sua avida scalata al potere. Il secondo è un “idiota” nel senso Dostoevskijano. Il giovane idealista – sempre a bocca aperta dalla meraviglia per il mondo e l’intero universo – è il tenero centro del libro, eroe sfortunato con la testa fra le nuvole, la sola anima pura e nobile che si aggiri tra queste pagine. Gli altri personaggi sono tutti delineati alla perfezione e accomunati da varie gradazioni e misure di follia (da sanguinaria a ingenua).

La macchina narrativa di Krasznahorkai

A questa situazione di catastrofe incombente Krasznahorkai contrappone una macchina narrativa di stupefacente bellezza e profondità. La rappresentazione dell’apocalisse è fondata sulla sproporzione e sull’allegoria. La scrittura infallibile trascina il lettore in un vortice ammaliante. Compatto, potente e intenso, Melancolia della resistenza «è un lento flusso di lava narrativa, un vasto fiume nero di caratteri» come ha detto il suo traduttore inglese George Szirtes. Ogni pagina si compone di lunghissime frasi senza praticamente mai una ‘a capo’. Il lettore sprofonda in un flusso di coscienza ininterrotto, nel vortice spiraliforme dell’entropia, verso la non-coscienza che è la morte.

La cinematografia del testo

In realtà la narrazione è molto cinematografica. Più che immaginare noi “guardiamo” una donna salire su un treno, tornare a casa e ricevere la visita della signora Eszter. Poi la “camera” del linguaggio segue la signora Eszter da questa scena, a casa, per tutta la sera, volteggiando nella sua stanza mentre dorme. Poi la osserva da lontano il giorno successivo, senza che ci sia mai una pausa dal flusso costante della scena. La capacità di Krasznahorkai di mantenere un flusso uniforme e continuo è valso il paragone tra questo romanzo e Moby Dick di Herman Melville, che va oltre il semplice fatto che entrambi sono racconti allegorici intorno a una grande balena.

Il treno che trascina fino alla fine

Krasznahorkai impiega uno stile quasi opaco di prosa loquace e densa, scrivendo belle frasi lunghe senza interruzioni. L’intero romanzo si legge solo come una manciata di paragrafi. Come un treno, questa densa prosa inizia lentamente ad allontanarsi e il romanzo prende uno slancio spaventoso mentre la catena reazionaria degli eventi si spinge in avanti per pura e terribile inerzia verso una risoluzione apocalittica. Il lettore è trascinato dallo slancio del treno narrativo senza riuscire a staccarsi dalle pagine, e guardando lo svolgersi dell’azione quasi in tempo reale (l’intero romanzo si svolge nell’arco di pochi giorni, come vuole la tradizione della tragedia greca). L’atmosfera cupa e claustrofobica è ottenuta dal fraseggiare lungo e incalzante, che fa quasi venire il fiatone durante la lettura. Ma anche dai pensieri ossessivi e dai deliri dei personaggi, che si seguono senza mai battere le palpebre o interrompere il lento ritmo stridente.

La ragione del titolo

Melancolia della resistenza deve il suo titolo alla tristezza morbosa e ostinata attaccata a ogni singola pagina di questo libro, pregno di un pessimismo invincibile. Ma anche una lotta tra il caos e la ragione: l’ordine da un lato e l’entropia che divora il mondo dall’altro, che ha già vinto e sempre vincerà: lo dice il secondo principio della termodinamica. Ma questa non è una buona ragione per non lottare. Perché è sempre possibile una seppur effimera – forse menzognera – armonia. Per questo chi resiste è condannato alla melancolia. Alla pazzia. A essere lo scemo del villaggio, come Valuska, il personaggio che più di tutti cattura il cuore. O a rinchiudersi in una fortezza di solitudine, come la signora Eszter.

L’allegoria e la filosofia di Melancolia della resistenza

Questo romanzo è un’allegoria che rivela il pensiero filosofico dell’autore sull’esistenza. Innanzitutto la riflessione sull’idea di potere domina l’intero discorso, rimanendo la sotto-trama costante di tutta la narrazione. In secondo luogo, Krasznahorkai analizza la dicotomia tra ordine e caos, dicendo che creazione e distruzione sono due facce della stessa medaglia e devono coesistere in un giusto equilibrio. L’autore mostra, in modo brillante e altamente descrittivo, come  persino la biologia sia programmata per la propria distruzione dopo la morte. Le discussioni cosmogoniche sui corpi celesti nello Spazio o le metafore correlate alla teoria musicale sollevano la domanda: c’è un ordine naturale o stiamo tutti girando a caso, vittime di una vuota concatenazione di causa-effetto?

I balzi lunari nella desolazione

Il romanzo, dice Susan Sontag, studia «un’anatomia della desolazione nella sua forma più spaventosa e compone un commovente manuale per resistere a quella desolazione». Eppure, miracolosamente, nelle parole di The Guardian, «solleva il lettore a balzi lunari» con una “muscolarità” attraverso cui è possibile sentire la forza, il virtuosismo e la grandezzza dell’autore in ogni parola. Disponibile in italiano edito da Bompiani (2018). Traduzione di Bruno Ventavoli e Dóra Mészáros.

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Foto: cultura.hu