Miklós Radnóti (Budapest, 5 maggio 1909-Abda, 10 (?) novembre 1944) è considerato uno dei maggiori poeti ungheresi del Novecento. Dopo essersi laureato in Letteratura ungherese all’Università di Szeged, si trasferì a Budapest dove si sposò con Fanni Gyarmati. Fu collaboratore della più importante rivista letteraria ungherese, Nyugat (Occidente), e si dedicò alla traduzione di poeti e autori classici e francesi, oltre a pubblicare egli stesso raccolte di poesie.

Le raccolte poetiche

La sua prima antologia poetica, Saluto pagano (1930), è dominata da un tumultuoso senso di ribellione, con echi frequenti del surrealismo francese; e a essa seguì, nel 1931, la raccolta Canti di pastore, immediatamente sequestrata perché ritenuta sobillatoria e irreligiosa. Dal 1936 il profetico Cammina, condannato a morte costituisce il contrappunto drammatico alla costante aspirazione del poeta all’idillio, nelle sue molteplici forme di ricordo, nostalgia, sete o speranza di vivere.

Il mese dei gemelli, unica opera in prosa

Il mese dei gemelli. Diario sull’infanzia (Ikrek hava. Napló a gyerekkorról), tradotto in italiano da Andrea Rényi (qui potete acquistarlo), è la sua opera in prosa più ampia, tradotta in una decina di lingue. In Ungheria è alla diciottesima edizione dalla sua prima pubblicazione, avvenuta nel 1940.

La recente traduzione italiana

Il volume in lingua italiana si inserisce nella collana «Mansarda» della casa editrice Infinito, curata da Anita Vuco e dedicata a quelle letterature ancora poco note del panorama europeo. Il volume riporta anche una selezione di poesie con testo originale a fronte tradotte nel 1995 da Marinka Dallos e Gianni Toti. I versi riguardano il rapporto con l’amatissima moglie Fanni e il senso di vicinanza spirituale con altri poeti vittime di atrocità, come il giovane autore nero bastonato a morte nel 1932 a New York.

I drammi familiari

Miklós Glatter (poi Radnóti) era di chiara origine ebraica. Venendo al mondo perse sia il fratello gemello sia la madre. Nel 1911, il padre si risposò con Ilona Molnár ed ebbe un’altra figlia, Ágnes; il bambino visse in quel nucleo ricomposto senza sapere la verità riguardo la sua vera madre né il gemello. Solo nel luglio 1921, alla morte del padre, Radnòti apprese dei passati drammi familiari e conobbe il suo reale grado di parentela con Ilona e Ágnes. Occorsero molti anni a Miklós per elaborare quei lutti familiari.

L’influenza di Proust, Freud e Bergson

Il breve diario atipico intitolato Il mese dei gemelli riguarda proprio la storia della perdita dei genitori e del divenire poeta. In esso Radnóti sovrappone spazi temporali in sequenze legate tra loro mediante immagini, suoni e associazioni. Il flusso di coscienza lirico ma anche ironico risente dell’influenza di Proust, Freud e Bergson. Il perno della riflessione è l’infanzia, dolorosamente finita con la malattia e la morte del padre e la rivelazione di essere figlio di una donna diversa da quella che aveva sempre ritenuto sua madre. Passato e presente vengono messi a confronto continuamente, alla ricerca di un senso da dare alla propria esistenza.

La grande menzogna

La grande menzogna che aveva caratterizzato la sua vita fino in quel momento diventa uno dei temi centrali del diario. Le bugie infantili della sorella Ági, le storie inventate dallo zio Eduárd, persino la traduzione della poesia e gli inevitabili “tradimenti” al testo originale che ne conseguono sono temi ricorrenti. I concetti di menzogna, di illusione, di omissione assumono la fisionomia di ossessioni per il poeta, che nel suo intimo si sente responsabile per la morte della madre.
«Li hai uccisi – diceva la voce, li hai uccisi, li hai uc ci si, li hai uc…» (p. 49).

Il presentimento della propria tragica morte

La scrittura insieme impressionista ed espressionista di Radnóti, una sorta di poesia in prosa, però, dà anche voce al senso di pericolo costante dovuto all’avvicinarsi della seconda guerra mondiale e al presentimento della propria morte. La prosa di Il mese dei gemelli, infatti, si conclude con i versi:
«Morto è già il petalo che volteggia / quando inizia la caduta? / Oppure muore quando tocca terra?» (p. 50).

Il taccuino di Bor: la poesia dal centro dell’inferno

Infatti, in seguito alle leggi razziali, il poeta dovette abbandonare la cattedra di insegnante, fu perseguitato, vittima di umiliazioni orribili, obbligato ai lavori forzati e infine rinchiuso nel lager di Bor. Assassinato durante una marcia forzata, il suo corpo fu rinvenuto nella fossa comune di Abda; i suoi indumenti custodivano il taccuino con i versi scritti durante la prigionia e la marcia stessa.

La sorte di Radnóti e la sua opera testimoniano la capacità di resistenza umana e artistica nei confronti di quella barbarie che è stata la Shoah. La sua voce rappresenta l’ultima, tragica protesta dell’arte vera anche nell’inferno dei campi di concentramento.



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