“La vera battaglia è appena iniziata”. Così il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha commentato la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che la scorsa settimana ha respinto il ricorso presentato da Ungheria e Slovacchia contro il piano di ricollocamento dei migranti.

SOLIDARIETÀ VS SOVRANITÀ

Secondo Orbán, il verdetto dell’UE non obbliga l’Ungheria a fare qualcosa e “i Paesi che hanno deciso di accogliere i rifugiati, lo hanno scelto per conto loro e adesso non possono chiedere a Budapest di entrare in gioco solo per rimediare ai loro errori”.

Secondo l’Unione Europea, invece, non si può parlare di “loro” errori, dal momento che alla base dei valori Europei sta proprio il principio di solidarietà. “Se mettiamo in gioco la solidarietà, allora dobbiamo parlare anche della questione dei confini perché anche questo peso va condiviso”, ha ribadito il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, János Lázár. A rispondergli, Alexander Winterstein dalla Commissione Europea, secondo il quale “la solidarietà non è un menu a la carte dal quale possiamo scegliere un piatto, come la questione dei confini, e rifiutare altri piatti, come per esempio il ricollocamento dei migranti.”

E quando Lázár fa riferimento al “peso da condividere” va preso alla lettera. Orbán infatti ha sempre descritto il problema dell’immigrazione come “un veleno” che infetta l’Ungheria e, per evitarlo, recinzioni difensive sono state erette lungo i confini meridionali del Paese. Una decisione che aveva già allora sollevato l’opinione pubblica e che l’UE aveva denunciato come contraria ai principi dell’Unione. Nel mese di Agosto, Orbán ha chiesto all’UE il rimborso di metà delle spese affrontate dal governo Ungherese per la costruzione del muro (circa 400 milioni di euro). Una richiesta che è suonata ridicola al Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker dato che giunge proprio in contemporanea al rifiuto di partecipare al ricollocamento dei migranti.

A sinistra il premier Viktor Orbán, a destra file di migranti.

PERCHÉ RICOLLOCARE I RIFUGIATI?

Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), dal 2014 circa 1.7 milioni di persone hanno cercato di iniziare una nuova vita all’interno dei confini dell’Unione Europea, in quella che è considerata la più grave crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale. Il picco è stato raggiunto nel 2015, anno in cui i leader Europei hanno accettato di ricollocare 160,000 migranti fra tutti i membri dell’Unione nell’arco dei successivi due anni.

Obiettivo finale sarebbe quello di alleviare gli ingenti numeri di rifugiati che arrivano sulle coste dell’Italia e della Grecia. A oggi solo 28,000 persone sono state effettivamente ridistribuite e l’Ungheria non ne ha accettata neanche una (anche se in realtà il primo ministro Orbán ha dichiarato di aver accolto più di 400 persone da Gennaio a Luglio 2017, ma di non averlo fatto secondo il “piano di solidarietà” proposto dall’UE, quanto piuttosto come frutto di una decisione indipendente).

Secondo le decisioni prese nel 2015, quindi, l’Ungheria dovrebbe farsi carico di 1,294 rifugiati mentre la Slovacchia ne dovrebbe accogliere 902.

Migranti al confine

VIZI PROCEDURALI

Le cifre sembrano essere davvero irrisorie. Perché dunque l’Ungheria si è scagliata così fortemente contro il verdetto della Corte di Giustizia? Le ragioni sembrano essere più procedurali che legate al rispetto o meno dei diritti umani.

Molto forti sono state infatti le parole del Ministro degli Esteri Ungherese Péter Szijjártó che ha accusato i politici Europei di aver “violentato le leggi e i valori dell’Unione”.

Due anni fa Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia e Romania avevano votato contro la misura temporanea, adottata attraverso una votazione a maggioranza, sistema che dovrebbe essere usato solamente per questioni che non impattano la sovranità nazionale dei singoli Stati. Richiedendone l’annullamento, Ungheria e Slovacchia hanno fatto dunque riferimento a vizi procedurali e al fatto che la ridistribuzione dei rifugiati non è la via migliore per risolvere la crisi migratoria.

L’Unione Europea ha respinto entrambe le accuse, dal momento che tale piano potrebbe effettivamente aiutare Grecia e Italia ad affrontare meglio la crisi. Inoltre, dal punto di vista procedurale, la Corte di Giustizia ha fatto riferimento all’articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, secondo il quale “qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo”.

I PROSSIMI PASSI

La decisione impugnata dalla Corte sembra essere definitiva, anzi se i Paesi del cosiddetto gruppo Visegrád non cambieranno approccio, si passerà allo step successivo, ossia il deferimento alla Corte di giustizia, che potrebbe portare all’imposizione di ingenti sanzioni per tali Paesi.

Ma tale minaccia non sembra spaventare nessuno dei Paesi in questione. Sulla stessa linea di Orbán, il primo ministro polacco Beata Szydlo ha commentato che “la decisione dell’UE era qualcosa di prevedibile, ma ciò non cambierà assolutamente la posizione della Polonia”.

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Foto: indipendent, dailyexpress, bbc