L’ 8 aprile l’Ungheria deciderà il suo futuro, o meglio deciderà se continuare sul percorso tracciato da Viktor Orbán come negli ultimi otto anni, oppure svoltare. In realtà voltare pagina nella politica ungherese non sembra per niente facile e tutti i sondaggi sembrano confermare che ci sarà un’ennesima vittoria del partito di governo, anche se l’umore dei cittadini sembra cambiato rispetto gli ultimi anni.

Domenica si terrà l’ennesimo referendum su Orbán. Uomo politico di stazza, che negli ultimi anni è cresciuto così tanto che la stessa Ungheria gli è diventata stretta. Il premier è così entrato prepotentemente nella scena europea, e in tanti paesi il suo nome rievoca la lotta all’immigrazione e alla burocrazia di Bruxelles. Orbán è diventato un “mito” per i sovranisti, specialmente di destra, che vogliono combattere la globalizzazione liberale.

Si diceva un altro referendum, ebbene si perchè anche queste elezioni sono incentrate sulla sua figura. E come potrebbe essere altrimenti. Orbán è protagonista indiscusso della scena politica ungherese dalla fine degli anni ’80, da quando con altri studenti lancia il Fidesz, partito dei giovani liberali. Da allora è sempre candidato alle elezioni, vincendo 3 volte e perdendo 4. In questo lungo percorso il Fidesz, e Orbán, sono cambiati approdando alle sponde del conservatorismo e del nazionalismo, fino a teorizzare negli ultimi anni la costruzione di una “democrazia illiberale”.

Orbán è onnipresente nella politica ungherese, è l’uomo forte, colui che dal 2010 non ha mai perso una elezione (anche se il referendum sui migranti del 2016 non è andato come previsto). Dopo otto anni di governo però il proprio elettorato potrebbe accusare una certa stanchezza, se non altro per via di una gestione del potere alquanto spregiudicata, ma per gli elettori del Fidesz non sembra essere così. A rinforzare la loro convinzione vi è la crescita economica, la cieca fiducia nel proprio leader ma anche una propaganda martellante. E infatti se si può parlare di “stanchezza” del proprio elettorato i sondaggi hanno attribuito il minimo storico al Fidesz nel 2015. Ed è proprio dal 2015 che Orbán inizia un percorso marcatamente più aggressivo su alcune tematiche. Il 2015 è l’anno della costruzione del recinto al confine meridionale, ma è soprattutto l’anno in cui inizia “la grande campagna contro i migranti e Soros”.

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Manifesto della campagna elettorale

A prescindere dalla valutazione politica della necessità di rifiutare o accogliere i migranti, quello che rimane evidente nella società ungherese è l’utilizzo di questo tema in maniera onnipresente. Ovunque ci sia un problema c’è dietro Soros e la volontà di distruggere l’Ungheria. Una campagna massiccia, rude, spesso dai toni violenti, ma soprattutto assillante. Dai cartelloni pubblicitari ai telegiornali pubblici. L’utilizzo di Soros come nemico numero uno riesce poi nell’intento di concentrare tutti i nemici del premier, e quindi dell’Ungheria, in un’unica persona. Tutti i nemici dalla destra radicale alla sinistra sono rappresentati nel faccione di Soros che si trova ad ogni angolo del paese. Semplificazione, creazione di un confine tra un noi “buono” e un loro “malvagio”, e una ripetizione costante fanno parte del manuale di costruzione di una campagna propagandistica. Certo però che nell’Europa del 2018 ci si aspetterebbe un dibattito più ragionato sui problemi del paese piuttosto che un muro contro muro fatto di slogan.

Orbán ha creato un paese in cui la propaganda deborda, ne sono pieni i mezzi di informazione, i discorsi politici ed ovviamente le parole delle persone che ripetono la cantilena in maniera assordante. E’ qui però che il meccanismo si guasta, e ne è testimonianza lo storico risultato elettorale di Hódmezővásárhely. Città del sud-est, roccaforte del Fidesz che è andata a votare il sindaco qualche mese fa e con gran sorpresa di tutti ha eletto un’altro sindaco, di destra ma alternativo al partito di potere. A decidere l’esito del voto è stata l’affluenza. Infatti numericamente i voti del Fidesz sono aumentati (da 8.100 a 9.400) ma a decidere è stata l’enorme partecipazione, da 13.000 votanti nel 2014 ai quasi 23.000 di quest’anno. Cosa ha spinto i cittadini a recarsi alle urne? Escludendo le tematiche più locali possiamo soffermarci su due elementi. La città è andata alle urne proprio in uno dei momenti in cui la propaganda contro Soros era all’apice nel paese. Nel comune la campagna elettorale portata avanti dal Fidesz è stata estremamente aggressiva e ricca di insulti contro il candidato avversario. La propaganda ed in particolare un suo uso spregiudicato, eccessivo, possono rafforzare il proprio elettorato ma con il rischio di portare al voto un’ampia parte di popolazione che si ritiene “schifata” dal discorso politico troppo aggressivo. La propaganda quindi come arma a doppio taglio, specie se non viene dosata correttamente.

E le elezioni del 8 aprile sono, probabilmente, quelle con una propaganda più violenta ed aggressiva degli ultimi venti anni in Ungheria. Il messaggio passato è “Orbán contro tutti”, o meglio “Orbán contro Soros”. Un messaggio semplice che identifica l’opposizione in un unico simbolo. Ed è proprio questa rappresentazione, in cui il Fidesz ed Orbán in maniera spregiudicata ed arrogante hanno deciso di attaccare nella stessa maniera destra e sinistra che può nascere il secondo errore della campagna del premier ungherese. Perchè uno dei suoi punti di forza degli ultimi anni è stata proprio la divisione dell’opposizione e l’incapacità di essa di unirsi o di muoversi comunemente. E le elezioni a Hódmezővásárhely, dove l’opposizione ha sostenuto un candidato unico, hanno dimostrato che l’alleanza dei due fronti (Jobbik e partiti di centro-sinistra) può diventare un problema per Orbán.

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L’elezione del nuovo Sindaco di Hódmezővásárhely

Nonostante Jobbik e i partiti di centro-sinistra non abbiamo ufficializzato alcun patto, tra gli elettori e la società civile iniziano a esserci dei passi in questa direzione. Ha preso piede un movimento “per il voto tattico” in cui si chiede ai candidati dell’opposizione di ritirarsi dai collegi uninominali a favore del candidato con le maggiori possibilità. E nel caso i candidati non si ritirino fa appello direttamente agli elettori con la campagna “Vota al proporzionale con il cuore, all’uninominale con la ragione”. Quanto successo avrà questa campagna lo vedremo la sera dell’otto aprile, certo è che vedere personalità della sinistra chiedere di votare la destra radicale o il contrario evidenzia come la politica aggressiva di Orbán sia andata per avvicinare le due opposizioni e se non ancora unirle in un fronte comune almeno avanzare qualche idea tattica per fermare il premier in carica.

L’otto aprile probabilmente vincerà nuovamente il Fidesz, ma nella società ungherese si inizia a notare qualcosa di nuovo. L’arroganza e l’aggressività della campagna di Orbán finiranno forse per mobilitare di più l’elettorato dell’opposizione che il proprio. La scelta di una campagna mediatica di tale impatto può rivelarsi un boomerang per il governo che poteva invece concentrarsi su tematiche quali la crescita economica e l’abbassamento della tassazione, temi sentiti anche se il divario socio-economico è aumentato in Ungheria. La scelta di appoggiarsi quasi esclusivamente ad una campagna “di odio” come è stata definita dagli oppositori può portare più pericoli che vantaggi. Come la stessa saccente sicurezza con cui il Fidesz si presenta a queste elezioni può rappresentare un problema, d’altronde vi è un precedente storico, le elezioni del 2006 quando Orbán era strasicuro di vincere, tranne poi subire una cocente sconfitta. Ma a dire l’ultima parola e a decidere se il premier ungherese ancora una volta ci ha visto giusto saranno le urne.

 

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