“Ti lascio io prima che sia tu a lasciarmi.” Si può riassumere così la travagliata storia d’amore fra il primo ministro ungherese Viktor Orbán e il Partito Popolare Europeo (PPE), dopo l’uscita definitiva dal gruppo del partito ungherese Fidesz.

“Mentre centinaia di migliaia di persone vengono ospedalizzate e i nostri medici salvano vite, è deludente vedere come il PPE sia paralizzato da problemi amministrativi interni e cerchi di silenziare i nostri parlamentari democraticamente eletti,” si legge nella lettera inviata da Orbán al leader del PPE Manfred Weber.

La decisione è stata presa in seguito ad alcuni emendamenti interni alle regole del PPE che hanno conferito al partito il potere di votare per l’esclusione di uno o più membri dal gruppo, inclusi interi partiti. Inutile è stata la minaccia di Orbán di lasciare il gruppo: su 180 voti, ben 148 (quasi l’82%) sono stati a favore della modifica, 28 contrari e 4 astenuti.

“Gli emendamenti sono chiaramente una mossa contro Fidesz e i nostri elettori,” continua la lettera. “Limitare le capacità dei parlamentari di adempiere i loro doveri priva i nostri elettori dei loro diritti. È una mossa antidemocratica, ingiusta e inaccettabile.”

UNA SITUAZIONE ALTALENANTE

Fidesz lascia il PPE quindi ma era una mossa che aleggiava nell’aria da tempo. La situazione è sempre stata delicata dopo che, nel 2018, il PPE aveva votato a favore dell’attivazione dell’articolo 7, per reprimere l’Ungheria a causa delle continue violazioni dello Stato di diritto in tema di libertà di stampa, immigrazione, minoranze, diritti civili e politici.

La diatriba era scesa poi sul livello “personale” nel marzo del 2019 quando Weber aveva dichiarato di non volere il supporto di Fidesz nella sua corsa alla nomina di presidente della Commissione.

“Fidesz avrebbe appoggiato Weber”, aveva risposto Orbán. “Ma non solo ha dichiarato di non aver bisogno dei voti ungheresi, ma anche di non voler diventare presidente grazie a essi”.

A seguito dell’intensificarsi degli attacchi contro il PPE, Weber e infine l’ex Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, Fidesz era stato sospeso dal partito.

Un nuovo dietrofront era avvenuto dopo le elezioni europee, che hanno visto la von der Leyen diventare il nuovo presidente della Commissione. Non Weber quindi, ma comunque un membro del PPE. Nel giugno 2019, infatti, Fidesz garantisce nuovamente il supporto al PPE e a Weber.

E ancora una rottura nel novembre 2020. L’eurodeputato Tamas Deutsch, fedelissimo di Orbán, aveva di nuovo puntato il dito contro Weber accusandolo di usare “metodi da Gestapo” per quanto riguarda la gestione della situazione del recovery fund e del veto posto proprio da Ungheria e Polonia. Per salvaguardare una situazione già critica (il veto ungherese e polacco stava rischiando di bloccare l’intero pacchetto finanziario dell’Ue per un totale di 1,8 miliardi di euro), la Merkel, nel mediare la situazione, aveva suggerito di non espellere Deutsch dal partito ma di sospenderlo.

Temendo, con le nuove modifiche approvate, una espulsione dell’intero partito, Orbán anticipa le mosse europee e lascia il PPE.

UNA IMPROBABILE ALLEANZA?

A seguito della sospensione nel 2019, Orbán aveva già iniziato a guardarsi intorno, aprendosi alla possibilità di creare un nuovo gruppo che mettesse insieme i partiti conservatori, fra cui la Lega di Matteo Salvini, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e il partito polacco Diritto e Giustizia (PiS). Tornando poi ad appoggiare Weber, l’ipotesi di una nuova alleanza si era risolta in un nulla di fatto.

Adesso però potrebbe ritornare alla luce. Al PPE poco cambia che Fidesz se ne sia andato: rimane infatti il più grande gruppo politico all’interno del parlamento europeo, anche senza i 12 parlamentari ungheresi (per essere precisi, un solo parlamentare ungherese rimarrà all’interno del PPE dal momento che membro del Partito Popolare Cristiano Democratico, in coalizione con Fidesz).

“Non abbiamo fretta,” ha detto Orbán, nel corso della usuale intervista del venerdì a Kossuth Radio. “Ma l’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un gruppo politico per Fidesz e per quei partiti simili che sono contrari ai migranti e preferiscono proteggere le famiglie tradizionali.”

E il giorno stesso in cui Fidesz lascia il PPE, due nomi tornano sotto i riflettori: Salvini e Meloni che, su Twitter, lanciano messaggi di solidarietà.

“Tra Italia e Ungheria c’è e ci sarà sempre un rapporto di amicizia e vicinanza,” ha scritto Salvini dopo una videochiamata “con l’amico premier ungherese” durante la quale si è discusso “di piano vaccinale, rilancio economico, controllo dell’immigrazione e tutela della famiglia.”

“La mia solidarietà a Orbán e agli amici ungheresi,” ha scritto invece Meloni. “Senza Fidesz, il PPE sarà ancora più subalterno alla sinistra, allontanando la prospettiva di un bipolarismo europeo e di un centrodestra maturo e protagonista. Ci faremo carico di questa missione.”

Ma quanto sono realistiche queste opzioni? Fratelli d’Italia è al momento parte del gruppo Conservatori e riformisti (Ecr) di cui Meloni è presidente. La Lega è invece membro del Partito Identità e Democrazia (ID) nato proprio a seguito delle elezioni europee del 2019.

Da una parte abbiamo dunque una Lega che è al momento marginalizzata all’interno dell’ID e piuttosto che attirare partiti nuovi all’interno, preferirebbe uscirne. Per confluire dove? Se il PPE era pronto a escludere Fidesz sembra alquanto improbabile che possa accogliere la Lega. Non sarebbe ben vista neanche all’interno dell’Ecr dal momento che diventerebbe il partito di maggioranza e il PiS polacco non si farebbe scavalcare. Dall’altra parte, Meloni non lascerebbe mai la presidenza di un partito come l’Ecr, che proprio con l’ingresso di Fidesz potrebbe avere un peso maggiore all’interno delle discussioni europee. Dunque l’ipotesi che sembra essere più concreta è quella di un avvicinamento del Fidesz all’Ecr mentre Salvini resta nel suo piccolo ID.

Le domande aperte restano però tante e gli scenari futuri incerti. L’Ue appare sempre più divisa e debole: la minaccia dell’articolo 7 è sempre e solo una minaccia da oltre tre anni; i fondi europei vengono sbloccati, grazie a un “contentino” per i Paesi che avevano posto il veto; nonostante si fosse d’accordo per l’utilizzo solo di vaccini approvati dall’Ue, alcuni Paesi stanno decidendo in autonomia. Insomma, sembra che non importa quali siano le azioni, da Bruxelles le conseguenze tardano ad arrivare. A subire sarà Orbán stesso? Il prossimo anno, in Ungheria si terranno le elezioni e come Orbán ha gestito la pandemia, la crisi economia e il dialogo con Bruxelles potrebbero fare pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra.



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