Amore mio, osservane i capelli bianchi nel vento,

bandiera bianca in cerca di pace,

scioglimi dalla corrosiva tristezza solitaria,

se non per nessun altro, amami per lei, per mia madre

(János Pilinszky, 1921-1981, esergo al capitolo Nonna Terézia)

L’estate del Sessantanove, edito da Infinito Edizoni, descrive con leggerezza e una vena malinconica tipicamente ungherese la storia di una ragazza che attraversa le varie stagioni del dopoguerra. In filigrana Budapest, la protagonista silenziosa di queste pagine. Il libro è un caleidoscopio della società ungherese durante mezzo secolo del Novecento, con incursioni in altri Paesi dell’Est, a cominciare dalla Cecoslovacchia. La Storia è osservata dal punto di vista della giovane Guzü e della sua famiglia. Si svolge durante l’estate del 1969, densa di avvenimenti per l’Ungheria e per l’Est europeo.

Memoriale di vicende realmente accadute

Le persone che fanno parte della vita di Güzü nei suoi primi diciassette anni formano un crogiolo di etnie, religioni, origini, culture e classi sociali diverse, tutte impegnate nel tentativo di sopravvivere alle burrasche della Storia in una delle aree geografiche più turbolente del ventesimo secolo. Le vicende narrate, suggestive e a volte sconvolgenti, sono tutte realmente accadute, a cominciare da quella di Imre Kertész, futuro Premio Nobel per la Letteratura.

Un romanzo corale

La narrazione si dirama in tante direzioni e regala al lettore un romanzo corale, composto da tanti attimi fermati nel tempo e da tante storie che nel loro insieme si intersecano ed evocano le atmosfere di giorni lontani. Ognuno di questi microcosmi è introdotto da una citazione letteraria (o politica) ungherese, rendendo possibile conoscere un po’ di più la cultura magiara, altrove così in ombra.

Temi del comunismo e dell’antisemitismo

È un libro colto che testimonia la ricchezza della cultura ungherese e che sa incuriosire con i suoi spaccati di vita. Tocca grandi temi come l’antisemitismo e la disillusione nei confronti della realizzazione del comunismo, la cui applicazione pratica ne ha tradito i valori ideali, ma ha anche il talento di saper trasmettere lo stato d’animo dei suoi personaggi.

Scrittura delicata e composita

L’autrice ha il raro dono di narrare la Storia con pochi tocchi, senza calcare la penna, suggerendo immagini e fissando in poche frasi un’epoca. La sua è una scrittura delicata che non si esaurisce nel memoriale o nella cronaca, ma si presenta composita e ricca. Per la ricchezza dei rimandi, per la sapienza nel coniugare le storie con la Storia nella consapevolezza del continuo scambio tra macro e microcosmo, L’estate del sessantanove potrebbe essere accostato a Lessico famigliare di Natalia Ginzburg.

Dignità e onestà intellettuale

Andrea Rényi ha scritto un libro pervaso da una profonda dignità, un memoriale che dà voce al silenzio riguardo la storia ungherese, così poco rappresentata nel panorama letterario italiano. «Andrea Rényi ci porta per mano nelle memorie della sua terra con rara maestria, con l’onestà intellettuale che non ha mai tradito». (Patrizia Rinaldi, Prefazione al testo).

Il silenzio di una folla di persone è il silenzio

più silente,

il più profondo; è intimidatorio e commovente.

(Péter Nádas, 1942-vivente, esergo al capitolo Jutka)



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