“I latini avrebbero detto nomen omen…insomma, se ti chiami Manuel Buda e ad un certo punto della tua vita ti trovi a vivere a Budapest, anzi più di preciso a Buda, pensi che fosse quasi destino”.
Con questo gusto per l’ironia ama raccontarsi Manuel Buda, chitarrista, compositore, performer, a volte cantante, di certo animatore di progetti musicali sempre nuovi e sorprendenti.

Milanese di nascita, ma con origini che si legano alla Calabria, a Roma e Livorno, Manuel vive da qualche anno fra l’Ungheria e…il mondo (“se ti piace viaggiare, fare il musicista è fantastico, e io amo viaggiare…” ci dice).

Con le sue parole ci ha raccontato un po’ della sua storia, di come abbia fatto della musica la sua professione, ma anche del suo prossimo concerto, il 10 aprile a Veszprém, Capitale Europea della Cultura 2023.

Raccontaci un po’ la tua storia, come ti sei avvicinato alla musica e, più nello specifico, alla musica che fai?

Nella mia famiglia la musica è importantissima: se ne ascolta sempre, e dei generi più diversi. Dai cantautori italiani al rock, a Cat Stevens, alla musica classica, gli stimoli che ho ricevuto fin da piccolo sono veramente tanti; in più, mia zia e mio cugino suonavano la chitarra, e vedendomi affascinato mi hanno insegnato le prime cose quando avrò avuto 7-8 anni. Per mia fortuna, poco tempo dopo, mia madre mi ha proposto di iniziare a studiare con un maestro, e da lì non mi sono più fermato fino al diploma in Conservatorio in chitarra classica.

Ma devo dire che il mio percorso è stato, ed è tuttora, sempre ricco di felici deviazioni: prima una grande passione per il rock in tutte le sue sfumature, che mi ha portato a lavorare molto con la chitarra elettrica, poi sempre di più l’attrazione verso i suoni del Mediterraneo e del Medioriente, e partendo da questi ho scoperto la, anzi le, musiche ebraiche.

Io sono di famiglia ebraica da parte materna, ma non siamo mai stati molto praticanti, anche se è un’eredità a cui in qualche modo teniamo molto. Per cui la musica è stata una via importante per trovare un mio rapporto con questa identità.

Oggi su quale genere o quali generi musicali ti concentri di più?

Tutto quello che ti raccontavo attorno alla musica ebraica e alle musiche del mediterraneo è iniziato quando ero poco più che teenager, e quasi subito mi sono accorto che riuscivo ad esprimere cose che per me sono centrali nell’esperienza umana. Alcune melodie dei Balcani, alcuni Nigun (canti ebraici senza parole, tipici della cultura Yiddish d’Est Europa), o ancora danze greche o dell’Anatolia, hanno dentro un senso di spiritualità e di vitalità fusi assieme: in questo le sento veramente affini a come sono fatto io. Per me la vita è una continua crescita spirituale, ma nello stesso tempo dev’essere vissuta nella gioia e con esperienze intense con gli altri esseri umani.

Musica come scambi continui fra popoli

Tutte queste musiche, e la musica ebraica in primis, raccontano proprio di scambi continui fra popoli, di influenze, ritmi, che passano senza riconoscere differenze di religione, lingua, paese etc..
Per me questo è un messaggio bellissimo, e queste musiche mi permettono di raccontarlo senza quasi bisogno di parole.
Da qui nascono i miei progetti come il NefEsh Trio, o la KlezParade Orchestra.

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Fare il musicista di professione non è una cosa facile; tu come ci sei riuscito?

E’ una domanda difficile, o meglio la risposta potrebbe tenerci assieme tutto il pomeriggio!
Ma credo che su una cosa quasi tutti i musicisti siano d’accordo: il talento, una certa predisposizione, l’aver cominciato molto presto, sono cose che aiutano ma da sole non bastano.

Se riguardo il mio percorso, credo sia stato veramente importante il mantenermi sempre aperto a nuovi stimoli e nuove sfide: a 22 anni, mentre studiavo in conservatorio e in parallelo mi esibivo principalmente nel circuito del rock, mi è stato proposto di fare le musiche per uno spettacolo teatrale ambientato in Medioriente. Non ci ho pensato due volte, e non solo è stato un successo, ma io ho capito cosa mi muoveva dentro quella musica, e ho deciso di approfondire.

O ancora, saltando all’oggi, mai mi sarei immaginato di fare dei concerti in duo con delle piante, ma quando l’anno scorso mi si è presentata questa possibilità…mi ci son buttato curioso!

Suonare in duo con delle piante, è davvero possibile?

All’inizio ero anch’io decisamente incredulo, ma poi ho iniziato questo viaggio e ora non ho intenzione di smettere. Vedi, con le tecnologie attuali è possibile captare il campo elettromagnetico di piante e alberi, e trasformare queste oscillazioni in suoni musicali; in un certo senso si può ben dire che possiamo ascoltare il “canto” delle piante. Ovviamente si tratta di un canto che non ha delle strutture musicali come quelle umane, che sono basate sempre su ripetizione/variazione; per cui, ogni volta che faccio una di queste performance, la sfida è di aggiungere con le mie chitarre questo senso di struttura, per aiutare l’ascoltatore a non perdersi in questo mare di suoni; ma la sfida è anche “imparare” dalla pianta a lasciarmi andare, ad allentare questa necessità di strutture (così umana!), e nel farlo ovviamente mi porto dietro il pubblico.

Ed è bello ricordare che la prima performance importante di questo progetto è stata proprio qui in Ungheria, nei giardini della bellissima reggia di Esterházy, a Fertőd; l’occasione era un simposio internazionale di architettura del paesaggio e come evento musicale hanno voluto questo.

Parlando di Ungheria, come hai trovato la vita musicale ungherese e quali sono state le tue esperienze con il pubblico ungherese?

Devo dire che è stato sempre entusiasmante suonare qui. Ho trovato un pubblico curioso, partecipe, e capace di emozionarsi.
Una delle cose che mi hanno lasciato a bocca aperta di una città come Budapest è la ricchezza di offerta musicale, mediamente di alto livello, e guardando all’Ungheria, la quantità di festival internazionali che abbracciano dalla world music all’elettronica, passando per le grandi orchestre sinfoniche. Sento un grande amore per la musica qui, una grande creatività che va di pari passo con l’abitudine allo studio e all’impegno.

Hai dei concerti in arrivo qui in Ungheria?

Sì, e uno in particolare mi emoziona molto: il 10 aprile, assieme al mio trio storico, il NefEsh Trio, sarò in concerto a Veszprém, come parte degli eventi di Veszprém Capitale Europea della Cultura 2023. Sarà un bel concerto, in una cittadina deliziosa (lo so, sono di parte, visto che mia moglie è di Veszprém, ma è davvero così!), e in un luogo che mi ha sempre affascinato: l’auditorium dell’Accademia di Musica, un’istituzione con 900 allievi (dunque paragonabile a un conservatorio di medie dimensioni) con questa sua sede dall’architettura molto mitteleuropea.

Col NefEsh Trio abbiamo suonato in tanti paesi, in Europa e fuori, ma questa sarà la prima volta qui in Ungheria, e aspetto con grande eccitazione questo evento. Il concerto sarà gratuito, Veszprém merita assolutamente una visita, per cui non posso che invitare tutti i lettori di Ungheria News a passare con noi la loro Pasquetta!

So che oltre all’attività performativa ti sei sempre occupato di educazione e divulgazione, riesci a portare questi aspetti anche in Ungheria?

Ho scoperto recentemente la Újlaki Iskola di Budapest, dove alcune sezioni sono italofone e dove si studia lingua e cultura italiana. Alla loro festa ho sentito bambini recitare Rodari, e visto un’associazione che si impegna per creare attività davvero belle. C’è già stato un piacevole scambio di idee con alcuni docenti, e sarò felice se capiterà l’occasione di fare dei progetti musicali lì.
Nel frattempo, così come è sempre stato in Italia, inizio ad avere anche qui allievi di chitarra. Ma non tutti sono italofoni o parlano inglese e quindi mi sono trovato a dover migliorare il mio ungherese! Sfida molto divertente, che ho accettato con curiosità, come sempre mi piace fare.

Per avere informazioni sul concerto del 10 aprile, ecco la pagina Facebook dell’evento: Concerto NefEsh Trio



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Fonte immagine di copertina: Manuel Buda