Zerocalcare, un nickname nato dalla necessità di creare un utente su Indymedia, per una discussione sulla scelta di fare gli scontri in occasione della fiera sulle biotecnologie a Genova o se alzare le mani. Oggi però il nome di Zerocalcare ha superato di molto i confini del noto blog di protesta. I libri di Zerocalcare sono tradotti ormai in moltissime lingue e le sue due serie sono oggi disponibili in 160 paesi…Noi ne avevamo scritto nel 2021, quando in ungherese è uscito Torokszoritosdi, ovvero Un polpo alla gola

Irene e Michela hanno avuto il piacere di intervistare Michele Rech, in arte Zerocalcare, e Michele Foschini di BAO Publishing, in occasione del PesText 2023, al quale il fumettista italiano partecipa per la prima volta in un dialogo con la ricercatrice di fumetti Eszter Szép, grazie alla collaborazione tra il festival e l’Istituto italiano della cultura a Budapest (IIC). Oltre ad aver contribuito all’organizzazione della presenza di Zerocalcare all’evento serale, l’ICC ha permesso anche che la nostra intervista avvenisse nella cornice della bellissima libreria dell’istituto.

La collaborazione con PesText è nata dopo una una telefonata e qualche scambio di mail tra Petra Kovács di IIC e Borbáth Péter. “È stata simpatia e sinergia da subito” aggiunge Petra Kovács. “Dopo il primo incontro in IIC con anche il Direttore dell’Istituto, Gabriele La Posta, il promotore culturale Michele Sità e Kiss A. Kriszta, elemento fondamentale dell’organizzazione da parte di PesText, è iniziato un processo di lavoro nel massimo stato di flow, di cui siamo siamo molto contenti.”

Il tuo nome, nato per caso guardando una pubblicità in tv, è oggi alle prese con un pubblico internazionale. La sua pronuncia all’estero viene mai storpiata? Qual è stata la storpiatura che ti ha fatto più ridere?

È storpiata, praticamente sempre. A volte persino tradotta, in particolare, i francesi  mi chiamano “calchér”. In realta non è particolarmente divertente perché non si presta a particolari interpretazioni. Tradurlo non ha molto senso visto che non vuole dire niente. Però tutto sommato mi sembra che anche all’estero rimanga riconoscibile, al massimo pensano che ci sia sotto un altro significato che non capiscono, qualche citazione di qualcosa in italiano, ma non c’è niente, è soltanto il nome del detersivo.

Ti ricordi che cosa scrivevi quando ti sei inventato il soprannome per scrivere sul forum di Indymedia per la prima volta?

Sarà stato nel 2000, in previsione della Fiera Internazionale di Genova sulle biotecnologie Tebio*, la discussione era se bisognasse menasse con la polizia o stare con le mani alzate.

Il tuo romanesco e il tuo modo di parlare sono stati criticati in Italia: perché? Nella serie “Questo mondo non mi renderà cattivo” compare una scena ironica con il professore che spiega alla lavagna il significato di “se lo sono bevuto”. Come mai? 

Mah, a me sembra che quelle critiche non esistevano nel mondo vero; che si sia trattato più di critiche nate da persone che nella vita sono a metà tra “acchiappa-click e il  mitomane” che avevano bisogno di parlare di qualcosa. Questa roba ha fatto parlare tantissimo ma praticamente per dare contro a chi scriveva quella cosa.

Poi è vero che ci sono persone che se parlo veloce magari non hanno capito tutto perfettamente. Comunque continuo a pensare che è un prodotto per quanto più possibile fedele “alla vita vera”, nelle dinamiche, nel linguaggio, nella costruzione della frase.. che è anche il motivo per cui non regge la doppiatura realizzata da professionisti, che sicuramente parlano meglio di me e sono migliori dal punto di vista attoriale però “quella roba lì fatta lì in doppiaggese non funziona.”

La scena a cui fai riferimento è stata voluta da Netflix perché “se lo so bevuto” {Ndr, venir arrestati, qui si trova la spiegazione della Treccani} è effettivamente una delle espressioni un po’ complicate. L’idea era quella di spiegarlo in un modo che prendesse anche un po’ in giro l’intera questione.

Come fai a controllare l’accuratezza delle traduzioni del tuo linguaggio? Io “accollo” in ungherese, non saprei proprio come tradurlo.

L’unica lingua in cui posso dare un contributo è il francese. Per la lingua francese non c’è problema perché sono madrelingua francese e mi capita di confrontarmi sia con la traduttrice letteraria che con i traduttori di Netflix su alcune parole specifiche. Per tutte le altre lingue mi affido ai traduttori perché un po’ sono abituato che il mio lavoro sia rivolto all’Italia, un po’ sono pigro e un po’ non potrei fare altrimenti. Non ho avuto le energie e la forza da investire nel controllare, riguardare, insomma, mi fido e spero bene.

Immagino che da una audience più politicizzata che ti segue, ti venga chiesto di prestare attenzione alle parole che usi. Ci potresti fare un esempio e spiegare come ti comporti nella scelta del lessico?

Tengo in grande considerazione questo tema e le osservazioni che mi vengono rivolte perché  sono cose a cui tengo e che penso che “stanno in capo a chi fa sto mestiere qua”. Mi sembra che pero ce stà un vuoto teorico su cui non riusciamo a bene a focalizzare le cose quando si parla di fiction. Nel senso che io sono davvero convinto che il linguaggio pubblico e dell’informazione, e anche della fiction, vada mediato. Ma se uno rappresenta dei personaggi che sono razzisti, ignoranti o omofobi…questi personaggi come li fai parlare? Dentro la serie c’è una riflessione sulla parola nero e su come le persone omofobe chiamano i gay… Cosa si usa? Negro e frocio non si possono dire. 

La questione va ancora sviscerata perché se dei personaggi negativi li fai parlare bene, il rischio è quello di edulcorare il conflitto e rimuovere il conflitto. Non va rimosso, ma va messo in scena per combattere questi comportamenti. Dobbiamo capire bene come procedere. 

“Non va rimosso il conflitto, ma va messo in scena per combattere questi comportamenti

Parliamo di Rebibbia, centro dei tuoi racconti e casa di mia nonna. Gran parte delle tue storie sono ambientate nel quadrante est di Roma, a Rebibbia, una zona molto circoscritta. Ma i tuoi libri e le serie sono famosi in tutto il mondo. Secondo te, che cosa rende queste storie di vita di quartiere così coinvolgenti per persone che non sono neanche mai state a Roma?

Al di là del contesto in cui queste storie avvengono, io penso che alla fine quello che racconto sono dinamiche molto intime e molto umane. Possono quindi essere accadute abbastanza ovunque. E mi sembra che il minimo comune denominatore per restare sintonizzati con quello che racconto, non è geografico, non è neanche una questione anagrafica, e quello de condividere quel senso di inadeguatezza, che poi è quello che regge le relazioni tra i personaggi che metto in scena io.

Che cosa è meno probabile che toglierai: Rebibbia, la politica o l’Armadillo?

Ti risponderei che la cosa più improbabile che levo è l’armadillo perché “è fisiologico nel racconto mio, è la mia coscienza, e difficilmente vorrei rinunciare alla voce di Valerio Mastandrea”.

Dal blog, alla carta, a Netflix? What’s next?

Intanto ci tengo a precisare che non è un percorso lineare, cioè che non è che ogni passaggio è stato un trampolino per la fase successiva. Voglio continuare a fare animazione ma anche i libri. Anche perché il pubblico fruisce di un libro con una maggiore concentrazione, rispetto a quando guarda una serie. E voglio anche continuare a fare storie gratis sui social (sia storie a fumetti che questo ibrido dei disegni con voce) e tenere più cose in parallelo. Tant’è che adesso sto scrivendo una storia a cui tengo, in formato libro, perché ne ho voglia, ma ho ancora qualche mese di lavoro davanti.

Come funziona il processo creativo di queste storie a fumetti con la voce? Ci racconti come passi dall’idea al video sui social?

In realtà è tutto a cazzo. Mi viene un’idea, e mi viene più veloce realizzare un video che non disegnandolo per intero. Mi scrivo le frasi (circa una paginetta) e poi le spezzetto con dei trattini. Per ogni pezzo di frase, mi segno in un quadernino che disegno ci voglio mettere. Faccio un paio di disegni per pagina. E faccio un video col cellulare mentre leggo di quel disegno specifico e poi monto tutto insieme.

Diciamo che è solitamente per quei 2/3 minuti di video, ci metto:

  • 15/20 minuti di scrittura
  • 90 minuti per fare i disegni
  • e un’oretta per la registrazione di tutti i video.

Come hai gestito l’introduzione di voci e musiche? Come nasce la collaborazione con Giancane?

È per la parte delle musiche che ho deciso di fare animazione. 

Mi andava proprio l’idea di obbligare le persone ad ascoltare le musiche che dicevo io mentre assumevano una storia mia. è proprio una parte a cui tengo un sacco.

Sulle voci invece, inizialmente non pensavo di fare io tutte le voci. Ma usare il doppiaggese mi sembrava snaturasse i personaggi. Poi mi sono accorto che quando da casa, durante la pandemia, con Rebibbia Quarantine, facevo io, funzionava e non dovevo neanche stare a discutere con altri, allora l’ho tenuta come una cifra stilistica.

Per la scelta delle musiche ho carta bianca, purché si stia nel budget previsto. A parte l’incognita che possono anche non volerci dare la canzone o perche ci stanno problemi legali su quel pezzo, a  volte bisogna fare dei conti, delle scelte perché magari rinunciando al costo di una canzone, posso averne altre due che mi piacciono.

Per quanto riguarda la collaborazione con Giancane, avevo disegnato il video di Ipocondria nel 2019 e quindi poi, un po’ come scambio di favori, l’ho usata come sigla di Rebibbia Quarantine. Siccome poi eravamo un po’ riconosciuti per questo come coppia creativa. Allora quando ho avuto l’opportunità di fare la roba su Netflix, mi sembrava carino portarmi appresso tutto e ci intendiamo molto bene, abbiamo anche molta comunanza emotiva. Quindi funziona tutto bene e in realtà io sono molto contento della collaborazione con Giancane.

Come credi cambieranno il tuo lavoro e il mondo del fumetto con l’intelligenza artificiale? e gia entrata nel tuo processo lavorativo?

L’intelligenza artificiale non è ancora entrata nel mio processo creativo e non credo ci entrerà mai ma non si può mai dire. Un giorno ho chiesto a Chat GPT di scrivermi il finale della serie che non avevo idee. Non l’ho usato poi pero ha fatto un bel lavoro devo dire.

Non lo so come impatterà il mondo del fumetto. Penso che ci sarà sempre una componente umana imprevedibile che una macchina che riusa le informazioni che ha intorno, non sarà mai in grado di dare. Dopo di che, non sono uno particolarmente spaventato. Io vorrei che man mano che l’ IA mangia il lavoro degli umani, se ce danno i soldi lo stesso a me va bene, non penso che dobbiamo per forza lavorare per sempre. Il problema è il reddito. Se qualcuno disegnerà meglio di me e me sostituirà in quel senso, se io arrivo a fine mese, la cosa non mi cruccia particolarmente.

Ungheria: prima volta? Hai dei riferimenti culturali ungheresi? Che ti viene in mente se dico Ungheria? 

Ho visto al festival di Venezia un film ambientato in Ungheria ma non mi viene molto altro in mente. Ecco, forse, la canzone dei fascisti della Lazio, avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest

Questo mondo non mi renderà cattivo, la tua seconda serie su Netflix, ha al centro il tema dell’accoglienza dei migranti. Si tratta di un tema caldo sia in Italia che in Ungheria, particolarmente per le campagne elettorali dei governi attuali dei due Paesi. Ha una rilevanza particolare per te essere in Ungheria?

Si, ci ho pensato. Banalmente, mi sembra interessante, mi sembra che l’Ungheria sia un laboratorio di cose che potrebbero avvenire in Italia, e che in Italia ci sia chi guarda al modello ungherese da vicino. 

Provare a venire a vedere un po’ com’è sto modello ungherese e come si vive, e come funzionano le cose, mi sembra interessante per una persona che si interessa delle cose che capitano in Italia.

Ci possiamo aspettare un personaggio ispirato da questo tua viaggio qui in Ungheria?

Sono arrivato stanotte e non ho visto praticamente nulla. Al momento non ho idea di quello che succede, ecco, spero che non me se bevano.

Articolo di Irene Pepe e Michela Severini

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Fonte foto: Istituto Italiano di Cultura Budapest