Di Cinzia Franchi

Con la sua morte scompare una delle figure più complesse e inquiete dell’architettura ungherese e le conseguenze di questa scomparsa al momento sono difficili da prevedere” da epiteszforum.

László Rajk jr. (26 gennaio 1949 – 11 settembre 2019) era nato nove mesi prima che venisse giustiziato dallo stesso comunismo che lo aveva formato politicamente suo padre László (1909-1949), già ministro degli interni (poi declassato agli esteri) del regime comunista ungherese. János Kádár, che gli era subentrato agli interni, contribuì alla ‘spontanea’ dichiarazione di colpevolezza nel ‘complotto jugoslavo’ che fece di Rajk senior il capro espiatorio-modello del primo grande processo farsa stalinista in Ungheria.

La madre, Júlia Földi, fu incarcerata e il piccolo László trascorse i primi cinque anni della sua vita in un orfanotrofio, periodo durante il quale ebbe un nome ‘temporaneo’ rassicurante e semi-anonimo, assegnatogli dall’ÁVH, la polizia segreta ungherese: István ovvero Pisti Kovács. Riebbe il proprio nome solo nel 1954, dopo che la madre fu liberata.

László Rajk jr. con la madre il 6 ottobre 1956 ai funerali del padre. Foto: Fortepan/Adomanyozó Berkó Pál

Architetto (premio Kossuth), scenografo (film/teatro: ha lavorato con László Nemes, Béla Tarr, Costa-Gavras, John Irwin, Miklós Jancsó, Tony Gatlif, Fatih Akin), dalla fine degli anni ’70 László Rajk fu impegnato nelle iniziative dell’opposizione magiara – nella quale ebbe un ruolo fondamentale – e nel periodo 1990-1996 fu deputato al Parlamento ungherese nelle file dell’SZDSZ (Alleanza dei Liberi Democratici), di cui era uno dei fondatori.

Sul sito web personale si può leggere, attraverso link che sono veri e propri capitoli, la sua biografia, la storia della sua famiglia, il suo percorso professionale come architetto, grafico e scenografo, le mostre che hanno presentato le varie fasi di quest’ultima e, last but not least, l’attività politica e l’attenzione mai superficiale rivolta verso la de/costruzione e della società ungherese prima e dopo il 1989.

László Rajk con Ottilia Solt nel 1989, in occasione di una manifestazione di protesta contro la costruzione della diga magiaro-slovacca di Nagymaros-Bős. Foto: Fortepan/Adomanyozó Hegedűs Judit.

Il 16 giugno 1989 si tennero i funerali di stato di Imre Nagy e dei suoi compagni di processo e di condanna a morte (Pál Maléter, Miklós Gimes, Géza Losonczi e József Szilágyi). Furono Gábor Bachmann e László Rajk a progettare l’immensa scenografia che evocava uno spettacolo del teatro greco, la catarsi e, nel contempo, la nemesi ungherese.

I funerali di Imre Nagy in piazza deli Eroi nel 1989.

Vale la pena di guardare (o riguardare, per chi c’era) le celebri sue copertine di edizioni samizdat man mano sempre più professionali e raffinate di opere letterarie e/o storiche, politiche che altrimenti non si sarebbero potute leggere perché messe all’indice come Tréfa (Lo scherzo) di Milan Kundera (1987), Audiencia (L’udienza) di Vaclav Havel (1985), Napló-részlet (Dal ‘Diario’) di Witold Gombrowicz (1983), A cenzura esztétikája (lett. L’estetica della censura, tradotta in inglese col titolo The Velvet Prison) di Miklós Haraszti, Örök hétfő (Eterno lunedì) di György Petri (1982) e molti altri volumi.

A questo link, una intervista in lingua inglese a Rajk del 2 settembre 2018: “Reconstructing A World that Has Disappeared“, in cui parla del suo lavoro – anche nella dimensione evocativa/archeologica che ricostruisce un mondo scomparso – in particolare per due film di László Nemes a cui ha collaborato, “Il figlio di Saul” (2015, Premio Oscar come miglior film straniero 2016) e “Tramonto” (2018). A novembre l’editrice ungherese Magvető ripubblicherà nella collana Tények és Tanuk (Fatti e testimoni) la bio-intervista a László Rajk dal titolo “A tér tágassága” (L’ampiezza dello spazio), curata insieme ad András Mink. Si tratta di un’edizione rivista e ampliata del volume pubblicato nel 2009. Anna Dávid, che dirige Magvető, ha ricordato sulla pagina Facebook della editrice magiara come László Rajk vi abbia lavorato fino all’ultimo con grande cura, inviando a volte quotidianamente, a volte settimanalmente nuovi capitoli, oppure rivedendoli, correggendoli: “Da alcune settimane, però, era cambiato tutto. L’obbiettivo era diventato riuscire a portarlo a termine, mandarlo in stampa, affinché László Rajk potesse stringere tra le mani il volume finito”.

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Foto: Fortepan, gondolo.hu, epiteszforum.hu