Avevo appena dieci anni quando, nell’estate del 1978, sentii parlare per la prima volta della ‘scuola ungherese’. Fu mio padre a farlo, mentre assistevamo al match tra l’Italia di Bearzot e l’Ungheria, piegata per 3-1 dai gol di ‘Pablito’ Rossi, Bettega e Benetti. Da buon maestro elementare mi spiegò che in panchina sedeva l’unico giocatore che gli ricordava un po’ la gloriosa storia del football ungherese, Tibor Nyilasi, ultimo prototipo di quel centravanti arretrato che, ben prima della rivoluzione olandese del calcio totale capeggiata da Cruijff, era apparso sulle sponde del Danubio.

Formazione dell’Aranycsapat, la “squadra d’oro”.

M’incuriosì, forse perché da poco avevo letto ed amato I ragazzi della via Pál di Molnár, tanto che gli chiesi di raccontarmi di questa ‘scuola’. Papà mi disse che aveva diciott’anni quando, nel 1952, alle Olimpiadi di Helsinki aveva trionfato quella nazionale che sarebbe passata alla storia come l’Aranycsapat, la ‘squadra d’oro’, formata da campioni eccezionali come il portiere Grosics, ‘la pantera nera’, Bozsik, il ‘cervello’ della squadra, le punte di diamante Kocsis e Puskás (il vero fuoriclasse) e Hidegkuti, ex ala destra arretrata a dar man forte agli interni come centravanti di manovra.

Tanti talenti per un collettivo formidabile. Questa fu la loro forza. Era nato il 3-2-3-2 ungherese, che dopo l’oro finnico trionfò l’anno seguente a Wembley per 6-3 contro i ‘maestri’ inglesi, in un’amichevole che, tuttavia, decretò la clamorosa bocciatura del ‘sistema’, classicamente adottato dal calcio britannico.

La ‘svolta’ magiara era figlia dell’ideologia collettivistica professata col verbo socialcomunista, allora imperante in Ungheria e in tutto l’est europeo. Papà mi fece così capire che la storia dei popoli, specie dopo la Seconda guerra mondiale, influenzava anche quella del pallone e che questo sarebbe stato evidente nel mondiale svizzero del ’54, dove nella fase a gironi i danubiani surclassarono per 8-3 la Germania ovest.

La strada per il successo finale sembrava spianata, ma per un regolamento davvero bislacco le teste di serie del girone, Ungheria e Turchia, non potevano incontrarsi, quindi il tecnico tedesco Herberger, sapendo di doversi giocare tutto nel match con i turchi, aveva risparmiato le forze contro l‘Aranycsapat. Questa scelta, astuta sebbene ardita, lo premiò, perché travolse i turchi per 7-2 ed ebbe accesso ai quarti, dove l’Ungheria si misurò col Brasile in uno scontro epico, non solo sotto il profilo tecnico tra due scuole molto simili per spettacolarità e fisionomia – non a caso si ritiene che il 3-2-3-2 magiaro sia l’antesignano del 4-2-4 dei ‘verdeoro’, perché in fase di non possesso il mediano sinistro scala in difesa ed il centravanti arretra sulla mediana – ma, soprattutto, perché passato tristemente alla storia calcistica come ‘la battaglia di Berna’ per una violenta rissa, anche negli spogliatoi, tra i contendenti.

Ferenc Puskas, indiscusso campione magiaro

Prevalsero gli ungheresi per 4-2, lo stesso risultato col quale, in semifinale ai supplementari, rispedirono a casa i detentori del titolo, l’Uruguay di Schiaffino.

In finale riecco la Germania ovest, ma con tutt’altro esito: vero è che in otto minuti prima Puskás e poi Czibor illusero sulla vittoria, ma la fatica delle ultime due gare e un Puskás malconcio, alla fine, pesarono eccome, perché i tedeschi correvano molto di più e potevano anche mettere a frutto il fattore-sorpresa, avendo tenuto nascosti ai rivali i titolari nel precedente (ed inutile) match. Fatto sta che, rimontato lo svantaggio, a sei minuti dal fischio finale la resistenza ungherese fu definitivamente vinta per quello che, da allora, è stato chiamato ‘il miracolo di Berna’.

Papà mi disse che, da quell’insuccesso il calcio ungherese non si sarebbe mai più ripreso. Di fatto, era finita la ‘scuola’. E per la prima volta la cosa mi rattristò.   

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Alfonso Esposito è avvocato penalista e cultore di calcio. Da giovane è stato corrispondente per la Gazzetta dello sport e, in seguito, ha curato per Calcio2000 la rubrica “Ad un passo dalla gloria”, dedicata ai talenti inespressi del football italiano. Inoltre, è autore del libro “Alla riscoperta dell’est. Il calcio oltre la cortina di ferro“, in uscita per Urbone publishing.

 



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Foto copertina: welovebudapest.com Altre foto: szatmar.ro, m4sport.hu