Géza Csáth, pseudonimo di József Brenner, cugino primo di Kosztolányi (figlio della sorella del padre di Csáth), era nato anche lui a Szabadka (Subotica), nel 1885, ed è uno di quei personaggi dei quali ci si può domandare come possa essere passato così inosservato nella letteratura mondiale.

Infatti, nei primi anni del Novecento, la sua fu una vita tormentata, funambolica e tragica, che precedette di quasi un secolo l’avvento delle vite fatte di eccessi delle rockstars ribelli degli anni ’70 e ’80, nonché il cult “I Ragazzi dello zoo di Berlino”.

In solo trentun anni di vita maledetta, fu scrittore per il “Budapesti Naplo”, ma anche violinista indemoniato, pianista, musicologo, drammaturgo, coreografo, pittore, tutto con successo da genio e istinto innovatore, senza considerare la laurea in medicina e la specializzazione come psichiatra e ginecologo.

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Monumento dedicato a Géza Csáth nel parco pubblico di Szabadka (oggi Subotica)

In tale veste fu il primo importatore delle teorie freudiane in Ungheria. Fu autore di racconti kafkiani, dai temi sconvolgenti, scandalosi, orrifici e straordinariamente contemporanei (tradotti in italiano da D’Alessandro per E/O Edizioni, nella raccolta “Oppio e altre storie”, poi film): storie di squilibrati mentali, drogati alla ricerca di eternità, crudeltà, sadismo, violenze, abbandoni di bambini. Fiuta un mondo sempre più freddo, il mondo senza favole belle (“La morte del mago”), senza pensieri belli, il mondo allucinato di Agotha Kristoff o dell’”Epepe” di Ferenc Karinthy, dove il protagonista si trova prigioniero in un paese sconosciuto, in cui non riesce a capire la lingua e nessuna struttura sociale (suo padre Frigyes Karinthy aveva scritto uno dei primi resoconti contemporanei di esperienza di pre-morte, durante il suo intervento al cervello), il vaso di Pandora scoperchiato da Freud, un mondo sovvertito, incomprensibile, angosciante, in cui crollano tutte le finzioni e le certezze e si squarciano i veli di Maya. Niente a che vedere con il contemporaneo Bengodi “esperto di arrosti e ragazze di campagna” Gyula Krudy.

Sentendosi abbandonato dal demone della scrittura Csáth va a lavorare come medico alle terme di Stubnyafürdő (oggi Turcianske Teplo, Slovacchia), poi di Kormocbanya (Kremnica, Slovacchia) e di Otatrafured (Stary Smokovec, Slovacchia) e qui, pensando di non saper più scrivere compone uno dei più grandi diari della letteratura, secondo le parole di Kertesz.

Diari tradotti e reperibili in inglese nella traduzione di Peter Reich, che si leggono come vedere un film, un film per voyeurs. Ma è anche molto di più di questo, come un “Tropico del Cancro” di Henry Miller. Abbandonata la famiglia d’origine a Szabadka e la moglie a Budapest (dove anche lei troverà in seguito un amante), Csath cade preda del “desiderio di rendere le donne felici”, egli diventa un autentico e ossessivo cultore ed esploratore dell’eros, in tutte le sue forme e sfumature, che definisce “sacrificio d’amore”, in una dimensione sacrale di culto della femminilità, senza venature di sadismo o machismo oppressivo o prostituzione.

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Szabadka (oggi Subotica, in Serbia), città natale di Géza Csáth

Egli non vede vecchie o giovani, ebree, cristiane, slave, tedesche, ungheresi, brutte o belle, per lui le donne sono tutte belle e tutte cadono ai suoi piedi, in pochi anni ama centinaia di donne, sue pazienti nei vari centri termali dove lavora e appunta ogni dettaglio e osservazione minuziosamente, come un vero studioso dell’animo femminile e umano. Il suo non è solo un grande racconto erotico steso con grande dovizia, è un diario pieno di filosofia, osservazioni antropologiche e psicologiche, un inno ai “diritti della carne”, che sdogana il corpo dal giogo dei sensi di colpa convenzionali. Chi vuol esser lieto sia.

Egli sarebbe l’inventore di una religione della liberazione sessuale, mentale, affettiva, carnale, se non fosse che a poco a poco il suo diario diventa il triste e deprimente, inquietante, quanto morbosamente interessante resoconto di un depresso, paranoico patologico la cui sola amante diventa poco a poco la morfina, con la quale lotta ma dalla quale non riesce a liberarsi, sprofondando nell’apatìa più totale, leggendo “The legend of sun”, con una notevole assonanza con “The house of the rising sun”, degli Animals, colonna sonora della generazione dello zoo di Berlino.

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Targa sulla casa natale di Géza Csáth (Subotica/Szabadka)

È un depresso inascoltato e incompreso, troppo geniale e brillante per essere preso sul serio, troppo bravo a dissimulare, ma Kosztolanyi, nella postfazione ai diari del cugino, che fa pubblicare postumi, fa avvertire il suo disagio verso il suo malessere che non fu capace di vedere a fondo e aiutare.

Csáth nel 1919, a guerra finita, la sua patria sotto occupazione serba, uccide la moglie che crede voglia ucciderlo e poi cerca di suicidarsi tagliandosi le vene ma viene ricoverato in un ospedale psichiatrico da cui infine riesce ad evadere e a suicidarsi, pochi mesi dopo.

Géza Csáth è un autore che merita di essere scoperto e riscoperto, un autore enigmatico dalle molteplici chiavi di lettura, che sonda abissi spesso inimmaginabili, ma soprattutto è un uomo che racconta la sua vicenda umana di eccessi e di sperimentazioni all’estremo, all’alba del nuovo secolo, del secolo della tecnica e degli stermini di massa. Un uomo sul promontorio dei secoli, padrone del suo destino che vuole portare alle più estreme conseguenze, sapendo che una vita non basta, la brucia a morsi rapidissimi anzitempo, come se in una breve vita avesse vissuto tante vite. Chi lo scopre scopre senz’altro una perla, inquieta e terribile nella sua grandezza, della letteratura di tutti i tempi, di tutti i luoghi e di tutti i secoli, sulla cui crudele e in fondo fragile genialità grava l’onta del pazzo femminicida, drogato, psicotico, come sul filosofo Althusser, ma lasciandoci grazie ai suoi lucidissimi diari anche lo spunto per una più ampia riflessione che interroga tutti noi sul genio, sulla follia, sulla solitudine e l’abbandono cui porta una società che non coglie e anzi reprime la straordinarietà, che non ha orecchie per il disagio mentale e lascia ai geni solo la strada della perdizione.

 

Alcuni testi di Géza Csáth in italiano o inglese:



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Foto: szegedtourism, Michele Migliori