I media l’hanno definita come “l’era Thunberg”, richiamando l’attivista svedese Greta Thunberg che dal 2018 lancia provocazioni in difesa dell’ambiente. Comunque la si voglia chiamare, è sicuramente un’era in cui il cambiamento climatico, l’energia e le risorse rinnovabili sono i protagonisti.

A dicembre, la nuova commissione europea guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen ha lanciato un ambizioso piano per contrastare gli effetti dell’inquinamento. Il cosiddetto “green deal” punta a un’Europa a emissioni zero entro il 2050 e a una riduzione delle emissioni dal 40% al 50-55% entro il 2030. L’UE si pone dunque alla guida della lotta per il clima e anche l’Ungheria ha il suo ruolo da giocare.

Il nuovo sindaco di Budapest Gergely Karácsony si è già schierato dalla parte dell’ambiente, dichiarando uno stato di emergenza climatico nella capitale ungherese. È in questo contesto che Karácsony ha deciso di fermare i lavori di rinnovo del parco cittadino, promuovendo invece  la piantumazione di nuovi alberi nella foresta di Csepel. Il piano del sindaco, che ha l’obiettivo di rendere Budapest una città ecologica, prevede anche la modernizzazione degli impianti di riscaldamento nei condomini, l’installazione di più pannelli solari e una maggiore educazione al riciclaggio dei rifiuti.

E dopo qualche titubanza iniziale (ricordiamo che lo scorso anno il vice premier ungherese aveva definito Greta Thunberg come “una bambina malata, sfruttata da qualcuno”), anche il governo ha deciso fare la sua parte. Il ministro dell’innovazione László Palkovics ha svelato all’inizio dell’anno il nuovo piano nazionale, secondo il quale l’Ungheria riuscirà completamente ad azzerare le sue emissioni di CO2 entro il 2050 (a patto che i costi della transizione siano sostenuti dai Paesi più inquinanti). Inoltre, entro il 2030, l’Ungheria si pone come obiettivo di produrre elettricità “pulita” al 90%. Dal 2022 gli unici autobus in circolazione saranno elettrici e, sempre nello stesso anno, partirà un’iniziativa per ripulire le correnti d’acqua del Paese.

Secondo il governo, tutto ciò costerà 50 miliardi di fiorini (150.8 miliardi di euro). Come raccogliere i fondi necessari, è un dibattito in corso da mesi a Bruxelles. Secondo il primo ministro Viktor Orbán, i Paesi più inquinanti e le aziende più grandi devono farsi carico di queste spese. Allo stesso tempo però, non devono verificarsi aumenti nei prezzi dell’elettricità per i cittadini.

Un progetto ambizioso quello dell’Ungheria, soprattutto considerando che il fabbisogno energetico del Paese è in gran parte soddisfatto dal carbone e dal nucleare. Riguardo la centrale di carbone di Matra, l’unica rimasta nel Paese, il ministro Palkovics ha già svelato il piano per rinnovare la centrale entro il 2030 in modo da ridurre e poi eliminare del tutto gli effetti negativi sull’ambiente. Che lo si voglia o no, la centrale dovrà prima o poi chiudere, per rimanere in linea con gli obiettivi europei. Il governo ungherese promuove dunque l’uso del nucleare come alternativa meno inquinante, per raggiungere gli obiettivi del “green deal”.

Secondo il partito di opposizione LMP tutte queste proposte governative sono comunque inadeguate. I verdi hanno quindi proposto un referendum per bandire completamente l’energia nucleare dall’Ungheria, passando completamento all’uso di quelle rinnovabili.

A queste critiche Orbán ha risposto mettendo di nuovo gioco i valori cristiani di cui l’Ungheria di fa portatrice, dal momento che “la protezione dell’ambiente è una priorità di una qualunque democrazia cristiana.”

Negli ultimi cinque anni, le emissioni prodotte dall’Ungheria (e da tutti gli altri Paesi che hanno firmato l’accordo di Parigi nel 2015) sono aumentate. Il problema del cambiamento climatico è quindi reale e andrebbe affrontato senza tirare in ballo forze politiche.