L’Ungheria ha deciso di non ratificare la convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.

Approvata per la prima volta dal Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011, la Convenzione è stata poi ratificata da 34 paesi, prima fra tutti la Turchia. Dodici stati, fra cui 7 paesi membri dell’Unione europea, firmarono la convenzione senza però ratificarla (ricordiamo che gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono giuridicamente vincolati dalle sue disposizioni). L’Ungheria è proprio fra questi paesi firmatari, insieme alla Bulgaria, la Repubblica ceca, la Lituania, la Lettonia, la Slovacchia e il Regno Unito.

Lo scorso novembre, il Parlamento dell’Unione europea aveva adottato una risoluzione invitando il Consiglio europeo a completare la ratifica della convenzione ed esortando i sopracitati Stati membri a ratificarla al più presto.

L’importanza della Convenzione

Perché la Convenzione di Istanbul è così importante? Secondo la definizione data dal Consiglio europeo stesso, si tratta del “primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza”.

La violenza contro le donne viene inserita fra le violazioni dei diritti umani e considerata come una forma di discriminazione e tutti i paesi sono invitati a esercitare la dovuta diligenza nel prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli. Sono considerate violenze perseguibili le seguenti: la violenza psicologica, gli atti persecutori come lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato, la sterilizzazione forzata e le molestie sessuali.

Inoltre, la Convenzione è il primo trattato internazionale che include al suo interno una definizione di genere, comprendendo tutte quelle forme di abuso che riguardano le persone discriminate in base al sesso, includendo anche le persone non binarie o transgender.

Viene menzionato anche un altro argomento caro all’Ungheria, quello dell’immigrazione. Il settimo capitolo della Convenzione, infatti, stabilisce che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione, ai fini del riconoscimento come rifugiato o persona protetta.

L’Ungheria boccia la Convenzione

A seguito del diffondersi dell’epidemia del coronavirus, il governo ungherese ha conferito al primo ministro Viktor Orbán pieni poteri, in quello che è stato definito come uno stato di emergenza.

Tali poteri sono stati utilizzati per approvare tutte le misure volte al contenimento del virus, ma sono state avanzate anche diverse proposte, che con il COVID-19 avevano a che fare poco.

In molti hanno infatti lamentato la proposta del governo per una legge che annullerebbe il riconoscimento legale delle persone transessuali nel Paese. A poche settimane da quella proposta, il parlamento ungherese annuncia di non voler ratificare la Convenzione di Istanbul.

Secondo i due partiti di maggioranza, il partito conservatore e populista Fidesz e il Partito popolare cristiano democratico (Kdnp), la decisione sarebbe stata motivata dal rischio della “migrazione illegale” che il testo favorirebbe, come pure la cosiddetta “ideologia gender”.

Inoltre, nella dichiarazione votata dalla maggioranza del parlamento, si chiede al governo di fare pressione sull’Unione europea affinché faccia lo stesso. Tutte le garanzie legali a difesa delle donne e contro la violenza domestica sono infatti già presenti nelle leggi del paese e la Convenzione contiene solamente un approccio inaccettabile sul “genere”.

Donne in parlamento protestano dopo la dichiarazione contro la Convenzione di Istanbul. Dal profilo ufficiale di Péter Hoppál.

L’opinione delle ONG

Diverse ONG si sono scagliate contro la decisone del governo ungherese. A partire da Amnesty International, il cui direttore David Vig, ha definito la decisone come molto pericolosa, specialmente in un momento in cui gli episodi di violenza domestica sono raddoppiati.

“Anche prima del diffondersi del coronavirus il governo non era riuscito a prevenire e combattere la violenza contro le donne. […] Adesso sta mandando un messaggio sbagliato ai colpevoli, indicando che non verranno puniti,” ha detto Vig.

A fare eco alle parole di Amnesty International sono altre due ONG ungheresi: l’organizzazione per il supporto delle vittime di violenza, PATENT e l’associazione per i diritti delle donne, NANE, entrambe oltraggiate dal fatto che la decisione di non ratificare la Convenzione sia avvenuta proprio dopo la festa della mamma.

La definizione data dal trattato sul genere lo identifica come i “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”.

“Alla luce degli eventi recenti, sembra assurdo che si possa dubitare sul fatto che una definizione del genere debba esistere o meno,” entrambe le ONG hanno dichiarato, facendo riferimento a un discorso tenuto da László Kövér, il presidente dell’Assemblea nazionale ungherese, il quale aveva definito le parlamentari donna come “patetiche” e i cui comportamenti “sono offensivi nei confronti degli uomini.”

L’altra motivazione citata dal governo riguarda il rischio dell’immigrazione illegale.

“Ciò dimostra una totale assenza di compassione di fronte a episodi di violenza bruta. […] Coloro che si oppongo alla Convenzione preferirebbero rispedire indietro ragazzine e donne che fuggono da paesi dove i governi condonano la mutilazione genitale, piuttosto che accoglierle,” hanno continuato i portavoce delle ONG.

Uguaglianza di genere in Ungheria

Secondo l’Indice sull’uguaglianza di genere del 2019, l’Ungheria è solo 27esima fra i paesi dell’Ue, ben 15 punti al di sotto della media europea, dopo essere arretrata di due posizioni rispetto al 2005. Ovviamente, ci sono alcune note positive. Per esempio per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, l’Ungheria ha dimostrato alcuni progressi, portando il numero delle donne impiegate a tempo pieno da 39% a 45%. Ma le disuguaglianze persistono quando si analizzano i diversi settori: solo l’8% delle donne (contro il 38% degli uomini) lavora in quelli che vengono definiti come campi prettamente maschili, scienza, ingegneria, matematica e tecnologia.

Ma la disuguaglianza più grande si incontra nella politica. L’Ungheria, infatti, si posiziona all’ultimo posto nell’Ue per quanto riguarda la presenza di donne all’interno del parlamento o ricoprenti cariche politiche. Fra il 2005 e il 2018 la percentuale di donne parlamentari è cresciuta dal 9% al 12% (molto poco se paragonata al 47% della Svezia), mentre la percentuale delle donne ministro è scesa dall’11% al 4%.

Grafico: Ungheria News. Dati: Indice sull’uguaglianza di genere dell’Ue.

E la violenza contro le donne diventa quindi una conseguenza di queste persistenti disuguaglianze nel campo del lavoro, del tempo libero, delle conoscenze e degli stipendi. L’Unione europea ricorda infatti che solo nel novembre del 2016, l’Ungheria aveva registrato 11 casi di femminicidio per mano di un familiare.

E purtroppo l’Ungheria non è sola in questa campagna contro la ratificazione della Convenzione di Istanbul. In Bulgaria, il primo ministro ha dovuto rimandare la decisione di fronte alle crescenti critiche e la Corte costituzionale bulgara l’ha definita non il linea con le tradizioni nazionali che riconoscono solamente le unioni fra uomini e donne. Oppure la Slovacchia, dove seppure sia stato eletto per la prima volta un presidente donna, il governo si dichiara contrario a un trattato che considera incompatibile con i valori della costituzione del paese.

 

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