Un po’ perché il Natale è alle porte, tutti (o quasi), nonostante il Covid, hanno in animo di fare del bene, ricordando quello ricevuto da bambini. Ma la memoria del bene può diventare anche memoria di Bene, inteso come Ferenc, velocissima punta ungherese degli anni ’60-’70, venuto alla luce appunto poco prima di Natale, il 17 dicembre del 1944.

Quell’estate del 1966 in Inghilterra

Con Flórián Albert c’era anche lui quel tardo pomeriggio estivo del 15 luglio 1966, a Liverpool, quando insieme, nella città dei Beatles, fecero ballare la samba nientemeno che al Brasile campione del mondo in carica. Era il mondiale d’Inghilterra, fase a gironi, finì 3-1 e fu proprio Ferenc ad aprire le danze, già al secondo minuto, entrando in area sulla destra, mettendo a sedere sul prato verde Altair con un doppio dribbling, eludendo l’opposizione disperata dell’accorrente Bellini ed infilando di giustezza il pallone nella luce venutasi ad aprire tra Bellini stesso ed il portiere Gilmar, trafitto di sinistro sul primo palo. Quell’Ungheria non andò oltre i quarti di finale, vedendosi sbarrare il passo dalla temuta ‘cugina’ URSS, ma nemmeno questo è bastato per cancellare il ricordo della lezione di calcio impartita ai brasiliani nella fase a gironi.

ferenc bene ungheria

Attaccante veloce e funambolico

Eppure, quando i nostalgici cultori del football ungherese s’industriano (un po’ snobisticamente) a stilare formazioni all times della nazionale magiara, non hanno memoria di Bene. Vero è che in prima linea la concorrenza è spietata, ma spesso il suo nome non trova posto nemmeno tra le referenziate alternative ai titolari. A torto, perché quest’attaccante veloce e funambolico, tanto mortifero nel puntare ed aggirare il marcatore di turno quanto puntuale nello stoccare a rete ha legato il suo nome a momenti importanti del calcio d’Ungheria, come la conquista del terzo posto agli Europei spagnoli del ’64 – contribuendo con due gol nella fase finale – e l’oro alle Olimpiadi di Tokyo nello stesso anno. Di quest’ultima Ferenc fu l’indiscusso capocannoniere con ben 12 centri in 5 gare, di cui addirittura la metà messi a segno nella contesa iniziale col Marocco, sgretolato per 6-0 con reti tutte sue, altre 4 contro la Repubblica Araba Unita in semifinale ed una, quella decisiva, nella finale vittoriosa per 2-1 contro la Cecoslovacchia.

Attaccante brevilineo dell’Újpest Dózsa, preferiva partire dall’esterno per poi convergere a rete, anche se poi in seguito accentrò maggiormente la sua posizione per ricoprire il ruolo di centravanti di manovra, alla Albert. Con quest’ultimo in nazionale s’intendeva ad occhi chiusi e proprio nel match contro il Brasile nel mondiale inglese diede spettacolo, entusiasmando la folla di Liverpool con combinazioni nello stretto ed in progressione ad alto tasso di spettacolarità. Emblematica l’azione del l’azione del definitivo 3-1, con Albert che parte palla al piede dalla sua metà campo, divorando metri ed avversari e servendo poco prima dell’area sudamericana proprio Bene, che sfugge per due volte all’opposizione del solito Altair, si allarga in area sulla destra e si procura il fallo da rigore da parte di Paulo Henrique, per la successiva trasformazione di Mészöly.

Il goal contro la Juventus

Come contro i verdeoro, Bene, con la maglia dell’Újpest, segnerà fulmineo anche nel ritorno degli ottavi di Coppa dei Campioni nella stagione ’72-’73, contro la Juventus, dopo un’andata a reti inviolate in quel di Torino. In casa loro i magiari passano già dopo un solo giro di lancette dal fischio d’apertura, proprio con Ferenc – n. 9 sulle spalle e fascia di capitano al braccio – lesto ad incunearsi nell’area bianconera su un lungo lancio filtrante ed a battere Zoff con un tocco angolato di destro. Anche dopo il raddoppio di Toth, Bene tiene in costante apprensione lo stopper Francesco Morini, costretto ad una ferrea ed angosciata marcatura ad uomo, prima che Altafini ed Anastasi regalino alla Juve il 2-2 in rimonta, col passaggio del turno ed il prosieguo nel torneo fino all’amara finale di Belgrado, persa per 0-1 contro l’Ajax. 

Ferenc Bene e l’immeritato oblio che lo ha avvolto

Bene lega indissolubilmente il suo nome a quello di Albert ed all’epilogo della più luminosa era del calcio magiaro. Infatti, si può ben dire che l’oro e l’argento olimpici colti dalla nazionale ungherese nel ’68 a Città del Messico e nel ’72 a Monaco di Baviera rappresentino gli ultimi squilli di tromba di una gloriosa scuola. Ed anche se in entrambe le competizioni Ferenc manca è perché, fino a metà degli anni ’70, è titolare indiscusso della rappresentativa maggiore, che saluta in occasione di un’amichevole con la Cecoslovacchia del settembre ’79, totalizzando 76 presenze e 36 reti. Forse sull’oblio che lo ha avvolto almeno in parte pesano sia l’essere stato contemporaneo di un talento geniale come Albert, ‘Pallone d’oro’ nel 1967, sia l’aver vissuto la fase calante della storia di un movimento che ha dato lustro al calcio danubiano in generale ed a quello ungherese in particolare. Ma nemmeno queste ragioni storiche bastano per giustificare la sua assenza negli album dei ricordi, quando poi le statistiche e le classifiche dicono tutt’altro. Uno come lui, dal 1964 costantemente presente per anni nella graduatoria del ‘Pallone d’oro’, dove figura onorevolmente al sesto posto (subito dietro il ‘gemello’ Albert) nel 1966, merita ben più di qualche sporadico amarcord. E non solo perché a Natale si fa memoria del bene…



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