Di nuovo estate, stavolta quella del 1982, ma pur sempre un mundial, non più in Argentina ma in Spagna. L’Italia c’era arrivata tra scandali – quello del calcioscommesse al termine del torneo ’79-’80, con tanto di squalifiche altisonanti, come quelle inflitte ad Albertosi, Giordano, Savoldi e, soprattutto, Paolo Rossi, e di una retrocessione d’ufficio al Milan – e delusioni, dopo l’Europeo in casa nostra, concluso solamente al quarto posto.

Io mi apprestavo a viverlo col cuore diviso a metà tra ansia di riscatto e curiosità. Non solo per quello che avrebbe combinato la Nazionale di Bearzot, ma, ancora una volta, per l’Ungheria. In terra argentina i magiari avevano deluso ed il loro breve cammino mi aveva impedito di studiare l’argomento che più mi stava a cuore, quello del centravanti arretrato o di manovra alla Hidegkuti, costringendo a pazientare altri quattro anni e ad arrangiarmi, nel frattempo, coi filmati delle coppe o delle qualificazioni rubacchiati qua e là. In Spagna gli Ungheresi erano comunque approdati, da primi di un girone eliminatorio tosto, sopravanzando di un punto l’Inghilterra ed estromettendo la Romania. Rispetto all’edizione precedente, c’era gente nuova, come lo statuario stopper Imre Garaba e gli attaccanti László Kiss e Gábor Pölöskei, ma anche nella nuova spedizione figuravano i miei due ‘miti’ personali, András Törőcsik, il prodotto più interessante del calcio danubiano a cavallo tra anni ’70 ed ‘80, e Tibor Nyilasi, forse l’ultimo vero calciatore ricalcato sul prototipo di Hidegkuti.

Ungheria mondiali 1982

Maradona in azione contro l’Ungheria al mondiale spagnolo del 1982

Se l’Italia doveva vedersela con la temibile Polonia, l’esotico Perù ed il gagliardo Camerun, all’Ungheria il sorteggio non aveva sorriso di più, visto che le piazzò davanti l’Argentina campione in carica ulteriormente potenziata dal rampante Diego Maradona, il Belgio – che nella partita inaugurale avrebbe battuto 1-0 proprio gli albiceleste – e la comparsa El Salvador. L’esordio, però, fu pirotecnico, la sera del 15 giugno i magiari travolsero i centroamericani per 10-1, un record assoluto terrificante nella storia dei mondiali. Punteggio sbloccato già al 4’ proprio da Nyilasi con una perentoria zuccata sotto misura, i giocatori in maglia rossa a devastare i malcapitati oppositori (si fa per dire…) con incursioni ripetute e mortifere. Tra gli altri marcatori si divertì da matti proprio Kiss con una tripletta, Nyilasi bissò suggellando la goleada col decimo e definitivo centro, imitato dal baffuto László Fazekas con due acuti, mentre anche Pölöskei beneficiò della vendemmia con un gol.

Ero convinto che stavolta la ‘mia’ Ungheria avrebbe ben figurato, dieci reti all’esordio erano un biglietto di presentazione sontuoso ed il gioco espresso contro i salvadoregni era stato a dir poco sfavillante, la manovra ariosa e i movimenti in campo avevano cominciato a farmi vedere concretamente come il calcio danubiano fosse una questione corale, di gruppo. In particolare Törőcsik, che approfittava della posizione un po’ più arretrata di Nyilasi e svariava sul fronte d’attacco alla Hidegkuti, non aveva segnato ma aveva creato spazi nei quali si fiondavano un po’ tutti, lasciando il campo poi proprio al devastante Kiss, che invece era punta classica, brevilinea e pronta al tiro. Le premesse erano lusinghiere e invece…

Ci pensò l’Argentina a riportare tutti, me compreso, con i piedi per terra. Un poker impietoso, con Maradona autore di una doppietta, ed il solo Pölöskei in grado di replicare e salvare l’onore magiaro. Il test salvadoregno si era rivelato ex post poco veritiero ed anche la gara conclusiva del girone, contro il Belgio, lo avrebbe confermato. Ai ‘diavoli rossi’, stranamente vittoriosi di misura col Salvador per 1-0, bastava il pari per passare al turno successivo, finì 1-1 dopo che un’incursione solitaria del difensore József Varga, poco prima della mezz’ora, aveva imboccato il corridoio giusto verso la rete e regalato agli ungheresi l’illusione di farcela. Il Belgio, cinico e pragmatico, seppe pareggiare a circa un quarto d’ora dal fischio finale e per la mia ‘seconda’ Ungheria, quella vissuta da adolescente, anche stavolta calò mestamente il sipario. Ci avrebbe pensato l’Italia di Paolo Rossi a restituirmi il sorriso, facendomi ‘diventare’ campione del mondo.

                                                                    

 

 



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