Nel dicembre 2020, l’Unione europea aveva introdotto un regime generale di condizionalità per proteggere il proprio bilancio in caso di violazioni dei principi dello Stato di diritto da parte degli Stati membri. Tale misura era stata contestata da Ungheria e Polonia che avevano presentato un ricorso alla Corte di giustizia. A distanza di quasi due anni, la Corte ha respinto la loro richiesta.

Ma facciamo un passo indietro. Perché l’Ue aveva sentito la necessità di introdurre questo principio di condizionalità? E perché Ungheria e Polonia hanno fatto ricorso?

Dall’approvazione del Recovery Fund al ricorso alla Corte 

Tutto nasce dall’approvazione dell’Ue del cosiddetto Recovery Fund (fondo per la ripresa) in aiuto ai Paesi colpiti dal coronavirus, e del bilancio a lungo termine per il prossimo settennato (2021-2027): quasi 1.8 miliardi di Euro in totale, di cui 390 miliardi sotto forma di sussidi a fondo perduto, mentre 360 miliardi sotto forma di prestiti (con un tasso vicino allo zero).

Dopo aver accusato per anni l’Ungheria e la Polonia di violare i principi dello Stato di diritto, gli europarlamentari avevano deciso di dire basta agli inutili strumenti adottati fino a quel momento e a colpire più duramente Budapest e Varsavia collegando i fondi europei al rispetto dello Stato di diritto.

Il regolamento quindi, consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di adottare misure di protezione come la sospensione dell’erogazione dei fondi o di uno o più progetti finanziati proprio da questi fondi.

Come risposta immediata, Ungheria e Polonia avevano esercitato il loro diritto di veto, bloccando per quasi un mese l’approvazione del bilancio. Il 10 dicembre alla fine, si era raggiunto un accordo: entrambi i premier Orbán e Morawiecki avevano ritirato il veto e i fondi europei erano stati approvati. Per l’opposizione, il passo indietro rappresentava una sconfitta per i due leader. Ed ecco che arriva il ricorso alla Corte di giustizia chiedendo l’annullamento del principio di condizionalità, sulla base della mancanza di un fondamento giuridico.

Corte di giustizia: Ue ha il diritto di proteggere i propri valori

Oggi, secondo la Corte, l’Ue ha il diritto di proteggere i propri valori, tra i quali lo Stato di diritto e la solidarietà, valori che sono stati accettati da tutti gli Stati membri in fase di ratificazione dei trattati.

La Corte ha poi specificato che la procedura prevista dal regolamento può essere avviata solo nel caso in cui sussistano motivi fondati per ritenere non soltanto che in uno Stato membro si verifichino violazioni dei principi dello Stato di diritto, ma soprattutto che tali violazioni compromettano o rischino seriamente di compromettere in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o la tutela dei suoi interessi finanziari.

Pertanto, un meccanismo di condizionalità, come quello istituito dal regolamento rientra tranquillamente nella competenza, conferita dai trattati all’Unione, di stabilire “regole finanziarie” relative all’esecuzione del bilancio dell’Unione.

Un altro punto in questione era quello che accusava questo meccanismo di voler aggirare l’articolo 7. La Corte ha risposto che si tratta di due cose diverse: secondo l’articolo 7 infatti, il Consiglio potrebbe sanzionare gli Stati membri, ma quella che adesso viene percepita come una sanzione non lo è, almeno non nell’ambito dell’articolo 7. Legalmente parlando è solo uno strumento per proteggere il bilancio Ue, sebbene possa apparire un modo per aggirare il fatto di non essere riusciti a mettere ancora in atto nessuna delle sanzioni previste dall’articolo 7. 

Il ministro della giustizia ungherese Judit Varga ha risposto subito, criticando la decisione della Corte e accusando Bruxelles di “abusare del suo potere”. Secondo il capo dell’ufficio del primo ministro Gergely Gulyás, non dobbiamo “dare troppa importanza” alla decisione della Corte dal momento che potrebbe risultare dannosa per l’Ungheria solo nel caso in cui l’opposizione vinca le elezioni del 3 aprile. Secondo Gulyás, infatti, l’Ue non sanzionerebbe l’Ungheria nel caso in cui Fidesz vincesse nuovamente le elezioni.



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