Era l’estate dell’86, mi preparavo per la licenza liceale, ma non per questo rinunciavo a seguire il mondiale messicano. Che era pur sempre quello nel quale gli azzurri di Bearzot erano chiamati a difendere il massimo titolo calcistico conquistato quattro anni prima in Spagna.

Ma non era solo questo il motivo del mio interesse, da buon napoletano seguivo con viva attenzione le vicende dell’Argentina di Diego Maradona – per un beffardo scherzo del destino capitata proprio nel girone dell’Italia – e non nascondevo la mia simpatia per l’Ungheria, la terza che osservavo di persona dopo quelle del ’78 e dell’82, in ragione di un risalente retaggio familiare, perché papà stravedeva per Ferenc Puskás e Nándor Hidegkuti.

Terza e ultima apparizione ungherese ai mondiali

Insomma, avevo i miei buoni motivi per svegliarmi alle 6 di mattina, studiare senza sosta e staccare poco prima dell’inizio delle partite, che allora erano trasmesse pressoché integralmente dalla rete nazionale.

L’Ungheria sfida e sconfigge il Brasile per 3-0

La rappresentativa magiara era approdata alla fase finale grazie al primato acquisito nel proprio girone di qualificazione, sopravanzando l’Olanda (che già annoverava tra le proprie file Gullit, Rijkaard e Van Basten) e condannandola allo spareggio, poi perso, contro il Belgio. In più, aveva sostenuto una brillante amichevole premondiale tre mesi prima, sfidando e sconfiggendo a Budapest il Brasile per 3-0, con acuti di Lajos Détári, Kálmán Kovács e Márton Esterházy.

Tutto lasciava ben sperare, per quanto il sorteggio per la composizione dei gironi avesse associato gli ungheresi alla Francia campione d’Europa in carica e alla temibile Urss targata Valerij Lobanovskij, oltre al simpatico (ma nulla più) Canada. E proprio contro i ‘cugini’ sovietici la selezione guidata da György Mezey fa la sua prima apparizione in terra messicana. Quella allestita dal c.t. danubiano è una rosa di onesti pedatori, irrobustita dall’esperienza del difensore centrale Imre Garaba, già reduce dal “mundial” spagnolo, dalla presenza tra i pali del barbuto Péter Disztl, l’anno prima finalista (non vincente) col Videoton nella doppia finale di Coppa Uefa contro il Real Madrid, dall’apporto in attacco di Jószef Kiprich, punta in forza al Tatabánya, e dello stesso Esterházy, baffuto e già trentenne attaccante di movimento, l’unico, insieme al centrocampista Győző Burcsa (nell’organico dei francesi dell’Auxerre) a poter vantare un’esperienza minimamente significativa all’estero, con gli ellenici dell’AEK Atene.

Resa d’esordio contro l’Urss

Fra tutti, però, spicca Détári, classico n. 10 dell’Honvéd Budapest, dotato di buona visione di gioco e di notevole capacità di lancio lungo, contrappuntate però da una certa indolenza in campo (per questo in seguito il suo acquisto alla Juve sarà bocciato da Gianni Agnelli, scomodatosi di persona a visionarlo) e da un’evidente allergia alla corsa. Gratificato con eccessiva generosità dell’investitura ad ultimo epigono di Puskás, il fantasista magiaro prende parte, del tutto impotente, alla disastrosa resa d’esordio contro l’Urss, che subissa l’Ungheria per 6-0.

Al di là delle dimensioni tennistiche del punteggio, a colpire è l’estrema facilità con la quale i sovietici imperversano contro la difesa magiara – quasi come i cosacchi che, nel 1812, falcidiarono le retrovie dell’esercito napoleonico che aveva lasciato Mosca –, andando ad una velocità doppia rispetto a quella dell’undici di Mezey. Emblematiche le azioni del quarto e del quinto gol, con gli uomini di Lobanovskij che scorrazzano liberi nelle praterie concesse dagli ungheresi, che quasi passeggiano per il campo. Davvero uno spettacolo avvilente.   

La sconfitta contro la Francia  

Appena un brodino caldo il (magro) riscatto nel secondo match contro gli aitanti tagliaboschi canadesi, regolati per 2-0, grazie all’immediato vantaggio siglato dopo appena due minuti da Esterházy con una conclusione tra il palo ed il portiere Lettieri, su azione innescata con uno spiovente da metà campo di Détári, che nella ripresa si fionda su una ribattuta dell’estremo nordamericano e sigla il comodo raddoppio.

L’incubo di un mondiale deludente si materializza di nuovo all’ultimo atto contro la Francia, che prevale in scioltezza per 3-0, anche stavolta approfittando di enormi spazi a disposizione, come in occasione della rete conclusiva, messa a segno addirittura grazie ad un rinvio dalla propria area del portiere transalpino Bats!

Ultima apparizione ungherese ai mondiali per circa trent’anni

Ora, si può anche provare a spiegare la debacle magiara con la disabitudine a giocare in città ad alta quota come Irapuato e Leon, o ricordando che, in fondo, l’ingannevole ed illusoria vittoria premondiale contro il Brasile matura in un freddo pomeriggio di metà marzo, contro i carioca non abituati a quel clima e privi degli uomini più rappresentativi come Junior, Socrates, Careca e Zico, ma, a ben vedere, il fallimento dell’avventura messicana è figlio legittimo di una modestia tecnica impressionante. Preludio di un’involuzione irreversibile che, da lì in avanti, fa letteralmente scomparire il calcio ungherese dalla scena mondiale ed europea per circa un trentennio.  



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Foto: origo, olimpia.hu