Walter Lippman disse un giorno: “Nessuno ha mai sentito parlare dei secleri, nei paesi occidentali, eppure ce ne sono 800mila e anche tutti loro, come le altre minoranze più note, avrebbero diritto ad un posto al sole”. Ebbene, obiettivamente quello di Orbán è un governo che è tornato a sventolare la bandiera seclera, che fa sentire gli ungheresi della diaspora protetti dalla madrepatria, che come tanti altri governi campanilisti dà l’impressione di parlare con il cuore, rubando la scena a chi avrebbe più argomenti e coscienza forse, ma non sa buttare il cuore oltre il traguardo.

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Bandiera seclera dal parlamento di Budapest

L’Ungheria, soffrendo anche di un artificioso pregiudizio secolare di potenza imperialista e razzista, duro a morire, si sente linguisticamente e culturalmente accerchiata, in un continente indoeuropeo, e sempre minacciata da potenze che l’hanno schiacciata e ritagliata, con una vastissima popolazione all’estero, quasi due milioni fra USA e Canada di discendenti di esuli ungheresi dalle varie fasi critiche fra i secoli XIX e XX e di discendenti di ungheresi perseguitati in fuga dai nuovi stati post-bellici, 80mila in Brasile, 50mila in Argentina, 67mila in Australia, più di 200mila tra Francia e Germania. E nessuno si è preoccupato di parlare, per esempio, del recente divieto slovacco di doppia cittadinanza o dei preoccupanti episodi magiarofobi a Cluj-Napoca.

È probabile che le sanzioni non faranno altro che rafforzare il sostegno a un governo indesiderato, da parte di un popolo reale, deliberatamente ignorato, come all’epoca della Lega delle Nazioni, straordinariamente ospitale e generoso, a tutti i livelli, e con una storia varia e lunghissima, una letteratura ricca. Un paese che da mille anni, dalla conversione al cristianesimo di Santo Stefano, nipote di Arpad, desidera inserirsi saldamente nell’Occidente, eppure sempre marginalizzato, come il resto dell’Europa “orientale”. Come constatò Peter Eszterhazy, non certo un reazionario: “Una volta ero un europeo dell’Est, poi sono stato promosso allo status di “europeo centrale”, e non ho ancora fatto in tempo ad abituarmi all’idea di essere un “nuovo europeo” che già sono stato etichettato come “membro indesiderabile”!”. Non solo: la decisione del Parlamento Europeo ha l’aggravante di dare l’impressione a tutti, non solo agli ungheresi, che davvero nelle alte sfere UE non si riesca che a ragionare in freddi termini quantitativi.

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Judith Sargentini, autrice del Report contro l’Ungheria al Parlamento Europeo, e Viktor Orbán, premier magiaro

Non ci si può ricordare di un paese solo quando fa qualcosa di “sgradito”, come innalzare l’età pensionabile dei giudici e impedire alle banche la speculazione criminale in costituzione perché, prima della censura e dei respingimenti e dei muri, tutto è iniziato così, sette anni fa, e occorre ricordarlo, perché quello che è seguito da parte di Budapest, da allora ad oggi, si potrebbe anche maliziosamente vedere come una sorta di susseguirsi di risposte spavalde e arroganti (talvolta crudeli e disumane), da parte di un governo campanilista e incauto, a continue provocazioni capziose da parte di istituzioni paternaliste, lontane e forse non meno arroganti, sicuramente non intenzionate a negoziare e a capire le radicali ragioni di un certo esecrabile nazionalismo e a capire in profondità le storie e le culture dei popoli.

Ciò non farà che alimentare le tesi complottiste e i demagoghi, se le istituzioni europee continueranno a fare tutto il possibile per dare l’impressione di essere colluse con i grandi interessi finanziari, con il pericolo di legare sempre più i temi dell’accoglienza e del multiculturalismo a elites anti-sociali che non riusciranno a far sentire i popoli europei sulla stessa barca, né tanto meno a farli sentire sulla stessa barca degli extra-europei, di quegli “altri” che il continente di Kant dovrebbe considerare, come il grande filosofo, padre di questo spazio di libertà e diritti senza precedenti (ancora sulla carta), “concittadini del mondo”.

Non si può nemmeno dimenticare che le potenze vincitrici della prima e della seconda guerra mondiale hanno dato man forte a lungo agli stati successori nelle loro angherie ai danni dell’Ungheria nel primo dopoguerra, armando l’avanzata degli eserciti romeno e cecoslovacco ben oltre le linee etniche, senza sanzionare i loro abusi sulla popolazione sconfitta, non permettendo di esprimere il proprio parere agli ungheresi rimasti oltre i nuovi confini e lasciando inascoltati per decenni le loro denunce e il loro malessere. Ciò non ha fatto che rafforzare il nazionalismo ungherese fino al secondo conflitto mondiale, con le note tragiche conseguenze, al termine del quale, quelle stesse potenze riconobbero, dopo solo due anni di un governo di unità nazionale, il colpo di stato di Matyas Rakosi, facendo poi finta di niente davanti alle drammatiche invocazioni di aiuto da parte di Imre Nagy, appena otto anni dopo, temendo la distruzione dell’equilibrio fra blocchi.

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Foto della cosiddetta “Guardia Stracciona”

Lo stesso nazionalismo horthysta degli anni ’20 e ’30, dei gruppi ancora più estremi come Magyar Szemle o dei banditi proto-nazisti magiari, si cibarono del senso di frustrazione, di persecuzione reale, di accerchiamento, di deliberata indifferenza e incomprensione della realtà magiara, da parte delle potenze, esacerbando il conflitto prima di tutto culturale fra la posizione ungherese e il resto del mondo. I criminali di Pal Pronay, soldati allo sbando e dediti al saccheggio, nonché all’uccisione di socialisti, liberali, ebrei, zingari, dopo la grande guerra, non avevano un nome grandioso e altisonante, si chiamavano Guardia Stracciona. Il senso di umiliazione e la percezione traumatica di potenza perduta, il complesso strisciante di patria assente e di accerchiamento, hanno già avuto effetti devastanti e riaprire vecchie ferite non può servire all’integrazione politica europea. Bisogna ricordare che l’Ungheria contemporanea si è formata a fatica ma sempre all’insegna dell’idea di integrazione politica europea e fondata su una sentita appartenenza alla cultura europea, dalle idee di Kossuth, Deak, Szechenyi e Andrassy, passando per Teleki e Bethlen, Ferenc Nagy, Imre Nagy, fino alla politica degli anni ’90, tutta orientata a quell’obiettivo.

L’Europa di oggi assomiglia a un cavallo stanco e assetato, l’Ungheria vedrà l’UE sempre più come quella grande balena ingombrante e misteriosa, piombata da chissà dove e chissà come nel centro di un villaggio, come nel romanzo “Melancolia della resistenza”, di Krasznahorkai, reso cinematograficamente da Bela Tar. Speriamo non sia la patria assente dei popoli europei di domani.

 
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Foto: Bonicelli Verrina, index.hu