Se non andò alla Juventus fu per colpa o per merito di Gianni Agnelli. Dipende dai punti di vista, certo che però, visto che in Italia ci arrivò lo stesso e non furono certamente stagioni memorabili, si sarebbe tentati di pensare che l’Avvocato ci avesse azzeccato ancora una volta.

Eppure Lajos Détári gli piaceva, era stato colpito dalla sua fantasia di trequartista magiaro che, subito, aveva spinto i suoi connazionali a paragonarlo nientemeno che al leggendario ‘colonnello’ Ferenc Puskás. Alla Juve – orfana di Platini ed alla disperata ricerca di un successore all’altezza di ‘le roi’ Michel – Giampiero Boniperti stravedeva per lui ed aveva convinto Agnelli a scomodarsi per ‘studiarlo’ in un match che lo vedeva protagonista con l’Eintracht di Francoforte. Detto fatto, ma l’Avvocato non torna persuaso dalla trasferta tedesca e, così, decide di non tesserare il ‘nipotino di Puskás’. 

L’arrivo di Détári in Italia

Era l’anno 1988 e, dopo il fresco fiasco con Ian Rush, la ‘vecchia signora’ ci andava con i piedi di piombo per non rischiare un altro flop. Agnelli, secondo la vulgata bianconera, sfidando il malcontento palese di Boniperti – lo stesso che, per intendersi, secondo i maligni non avrebbe dato brillante prova di sé bocciando a suo tempo nientemeno che Diego Armando Maradona… –sarebbe tornato insoddisfatto per l’anonimo ‘provino’ del rampante ungherese.

Al di là del curioso ‘dietro le quinte’, Détári in Italia ci sarebbe arrivato ugualmente due anni dopo, approdando al Bologna e retrocedendo subito in B. A sua parziale discolpa c’è da dire che scende in campo solo 15 volte su 34 gare, mettendo a segno appena 5 reti, di cui 1 su rigore. Troppo poco per brillare in un’annata comunque storta. Resta tra i felsinei ancora un anno nella serie cadetta, poi, purtroppo per lui, nemmeno la prova d’appello va meglio, milita nell’Ancona per il torneo ’92-’93 ed anche stavolta è declassamento nella serie inferiore, nonostante riesca a racimolare 32 presenze e 9 gol. 

La campagna italica di Lajos si chiude in modo anonimo e mesto nella primavera del 1994, quando a stagione in corso torna a rivestire il rossoblù, stavolta quello del Genoa, ma in appena 8 partite corredate da una sola segnatura. Il consuntivo, evidentemente, non può ritenersi soddisfacente per uno che era stato presentato come ‘il nuovo Puskás’.

Sulla temeraria investitura, a parere di chi scrive, ha pesato non poco il perdurante grigiore che ha avvolto come un fosco ed opprimente mantello il calcio magiaro dopo l’ultimo alloro, colto nelle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico, dove la rappresentativa danubiana salì sul gradino più alto del podio.

La lunga astinenza e l’acuta nostalgia per i tempi mitici dell’ Aranycsapat degli anni ’50, probabilmente, hanno indotto a vedere un fuoriclasse lì dove c’era soltanto un giocatore dotato, sicuramente, di un patrimonio tecnico ragguardevole, ma non sufficiente, evidentemente, per fargli compiere il salto di qualità e farlo andare oltre il malinconico canto dell’ultimo ‘cigno’ del calcio d’Ungheria.

Un’esperienza che non ha lasciato grandi ricordi

Nei ripetuti amarcord degli appassionati di calcio degli anni ’80 e ’90 Lajos è spesso presentato come un brocco, al pari di tanti altri che non hanno lasciato traccia nel campionato italiano – si pensi, giusto per fare un solo nome, ma altamente paradigmatico, al brasiliano Luis Silvio Danuello, nella Pistoiese ’80-’81 – ma l’inclusione nell’infame drappello sembra, ad essere onesti, eccessiva.

Se Détári non può sicuramente essere definito un campionequanto gli ha nuociuto, a conti fatti, il paragone quanto mai azzardato con Puskás! –  non è nemmeno un bidone. Forse è più corretto presentarlo come una (più o meno grande) promessa non mantenuta, un calciatore che tecnicamente si distingueva dai tanti e che, magari, avrebbe potuto anche avere una carriera molto più luminosa se il talento, a detta di chi ha approfondito l’argomento da cultore della materia, fosse stato sorretto da un atteggiamento mentale meno supponente e più votato al sacrificio in nome dello spirito di gruppo.

Per questo Agnelli si sarebbe deciso a non ingaggiarlo. Salvo poi, prendendo atto di quanto fossero risultate infruttuose le soluzioni ‘casalinghe’ (leggasi Beniamino Vignola e Marino Magrin), virare in seguito sulle piste estere Rui Barros e Zavarov, che certo non hanno lasciato un ricordo indelebile a Torino. Anzi, volendo vestire per un momento solo la toga di difensore d’ufficio del bizzoso ed indolente Lajos, ci si potrebbe chiedere cosa sarebbe successo se al loro posto fosse stato ingaggiato l’ungherese. Avrebbe fatto peggio? Forse no. Ma con i ‘se’ ed i ‘ma’ non si scrive la storia, nemmeno quella calcistica.



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Foto: goal.com