“Alla Coppa delle Fiere, un Ferencváros la Juventus piegò…”

Non è stata la prima volta. Quando il 4 novembre scorso Ferencváros e Juventus si sono affrontate a Budapest per il girone di Champions, sussisteva già un precedente, di quelli ricordati a malapena perché richiama un’altra epoca, quando si disputava la Coppa delle Fiere. Era detta così perché riservata alle città ospitanti fiere industriali – anche se a venir subito in mente sono quelle allegre e caciarone di paese, cantate da Angelo Branduardi nella notissima Alla fiera dell’est – e si è svolta dal 1955 al 1971, prima di essere soppiantata di fatto dalla Coppa Uefa. È proprio alla finale dell’edizione ’64-’65 che risale lo storico antefatto.

I bianconeri italiani ed i biancoverdi magiari vi approdano dopo che andata e ritorno delle due semifinali hanno fatto registrare una situazione di perfetta parità, per cui occorre la ripetizione. A farne le spese sono, nell’ordine, Atletico Madrid e Manchester United. La città di Torino ospita l’epilogo ma il club di casa non fa festa, perché la coppa se l’aggiudica il Ferencváros. Vero è che gli juventini patiscono oltre misura le contemporanee assenze del perno difensivo Sandro Salvadore e del loro uomo più talentuoso e rappresentativo, Omar Sivori, quest’ultimo a tal punto in rotta di collisione con l’allenatore Heriberto Herrera da decidere, al termine della stagione, di scegliere Napoli per dare un seguito alla sua avventura italiana. Tuttavia, l’esito della gara premia giustamente gli ospiti.

L’undici magiaro dopo la vittoria contro la Juventus

Il Ferencváros può fare affidamento sulla straordinaria classe di Flórián Albert, ‘l’imperatore’, ultimo ed eccelso interprete del ruolo di centravanti di manovra – o falso nueve alla Hidegkuti – brevettato dalla gloriosa scuola ungherese, Pallone d’oro nel 1967 ed autentico trascinatore delle aquile verdi. Nella costruzione della manovra offensiva lo spalleggiano efficacemente Zoltán Varga e Gyula Rákosi, che avevano fatto incetta di ori e bronzi (ben cinque) tra Olimpiadi ed Europei di calcio. Ciononostante, gli ungheresi non hanno entusiasmato nella loro marcia di avvicinamento alla finale, mostrandosi tutt’altro che irresistibili.

La gara di Torino va in scena il 23 di giugno, agli ordini del fischietto svizzero Dienst, quando in Italia si pensa già alle vacanze estive ed il campionato è finito da un pezzo, probabilmente è questo ad avvantaggiare i danubiani, che invece mettono in mostra una migliore tenuta fisica. Ed infatti, nonostante un sostanziale equilibrio, sono proprio loro ad essere più intraprendenti nella prima frazione del match, anche se Anzolin sa difendersi senza particolari patemi. Juve maggiormente propositiva dopo il riposo, orchestrati da Luis del Sol i bianconeri ci provano con Combin, Leoncini e Stacchini, ma anche in queste occasioni il muro difensivo eretto dai magiari regge ben solido.

Albert non resta a guardare, suo un bellissimo colpo di testa in elevazione plastica al centro dell’area di rigore juventina, con Anzolin costretto a prodursi in un tuffo spettacolare per abbrancare la palla a mani nude. Altro calcio, allora i portieri paravano così… Poco dopo l’episodio risolutivo della contesa: il terzino Novák – anch’egli plurimedagliato tra Olimpiadi (un bronzo e due ori dal ’60 al ’68) ed Europei (un terzo posto in quello spagnolo del ’64) – oltre ad essere un abile rigorista (specie in Nazionale) si dimostra pure un eccellente crossatore, è suo il traversone flessuoso e ad effetto che al 74’ pesca al vertice dell’area piccola bianconera l’ala sinistra Máté Fenyvesi, accorrente a tutta velocità e lesto ad incocciare di testa il pallone della vittoria, che Anzolin può solo stare a guardare mentre gli rotola alle spalle.

Uno scatto dall’ultimo incontro tra le due squadre

Con l’assolo del rapido esterno del Ferencváros e della Nazionale si decide il match, forse non memorabile dal punto di vista spettacolare, ma senza dubbio suggestivo perché mette a confronto due scuole, quella nostrana imperniata essenzialmente sulla cura (quasi maniacale) della fase difensiva, e quella magiara, resasi gloriosa per quanto espresso dalla spettacolare Nazionale – che passerà alla storia come l’Aranycsapat (o ‘squadra d’oro’) – agli inizi degli anni ’50, durante quella che a giusta ragione è stata definita l’epopea di Puskás, Kocsis, Hidegkuti ed altri ancora. Albert ed i suoi compagni quella sera d’inizio estate del 1965 firmano, probabilmente, una delle ultime pagine felici di un movimento calcistico che di lì a poco imboccherà il viale di uno struggente tramonto. Sono proprio le aquile verdi a regalare al calcio ungherese un successo che, in quella competizione, sarà il primo di una compagine d’oltrecortina.                                                                                                          



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Foto: Magyarfutball.hu, Index.